Il veganismo, inteso non solo come scelta alimentare ma bensì nel suo senso più ampio e filosofico di pratica di liberazione animale ed umana, rischia a volte di trasformarsi in un terreno dove si confermano e rafforzano numerosi stereotipi, soprattutto quelli di genere, andando a depotenziare e snaturare la forza di cambiamento sociale e culturale che questa pratica porta con sé.
The Game Changer
Tempo fa vidi un documentario su una nota piattaforma di streaming che ha avuto un certo successo all’interno degli spazi “vegan”.
Parlo di “The Game Changer”, un documentario che dimostra come una alimentazione plant-based (quindi a prevalenza vegetale) sia il tipo di alimentazione migliore per la salute delle persone, e dimostrazione di questa tesi si utilizzano non solo dati scientifici ed interviste a medici, ma vengono mostrate le materiali e straordinarie performance di numerosi sportivi i quali, dopo un passaggio ad una dieta plant-based, hanno avuto un enorme miglioramento dei loro risultati.
Indubbiamente più proseguivo nella visione del filmato più ero contento della mia scelta vegana, e nonostante la mia atavica pigrizia anche solo vedere questə atletə super-performanti mi faceva fantasticare sulle possibilità delle mie possibilità atletiche.
Ma è anche vero che durante la visione sentivo che c’era qualcosa che non andava, più si andava avanti e più provavo un leggero senso di fastidio.
Ho cercato quindi di interrogarmi per tentare di capire il perché di questo cambiamento emotivo, di questo passaggio da una sorta di esaltazione ad un senso di disturbo.
Inizialmente mi sono detto che la cosa più evidente che poteva avermi provocato queste emozioni negative fosse il fatto che gli animali erano totalmente assenti dal discorso.
L’esaltazione del machismo
Per chi ha iniziato un percorso vegano antispecista basato sugli aspetti etici della questione, e non su quelli alimentari e salutistici, il fatto non si facesse riferimento nelle interviste all’importanza del rispetto per gli animali era per me un evidente limite del documentario, se non un aspetto assolutamente negativo.
Ma del resto il tema del film non era l’etica vegana ma gli effetti di un certo tipo di alimentazione sul benessere del corpo, per cui ci poteva anche stare che l’aspetto etico non venisse trattato nel filmato.
Al netto di questa considerazione però il dubbio rimaneva, ed alla fine ho capito cos’era che mi stesse dando così fastidio: l’intero documentario era una esaltazione della performance, della sfida, una vera esaltazione del machismo.
Dopo aver rivisto il documentario mi è apparso chiaro come fosse presente tutta una sequela di stereotipi di genere, a partire dalla celebrazione della potenza maschile sia fisica che sessuale.
Come evidenziano Jessica Greenebaum and Brandon Dexter in uno studio del 2017 “Negli ultimi anni, c’è stata una tendenza crescente nella ricerca sul tema uomini, mascolinità e cibo che rivela la presenza di ruoli di genere rigorosi e un definito binarismo di genere..”
Sono famosi i libri di Carol J. Adams (The Sexual Politics of meat) ma anche di Laura Wright (The Vegan Studies Project: Food, Animals, and Gender in the Age of Terror), autrici che, in un’ottica femminista e antispecista, si sono occupate del rapporto identità di genere e alimentazione, rivelando lo stretto legame esistente tra consumo di carne e concetto di mascolinità.
Il risultato è: se vuoi essere un vero uomo devi consumare carne.
Nel documentario appaiono una serie di vecchie pubblicità che sottolineano questo aspetto, pubblicità che affermano “La bistecca è il cibo dei veri uomini” oppure “Mangia la carne, sei un uomo”.
Le strategie di marketing
Tra i produttori del documentario c’è anche Arnold Schwarzenegger il quale, intervistato, racconta come, nella sua carriera di bodybuilder, fosse totalmente immerso in questo parallelismo uomo/mascolinità-consumo di carne e dice: “Nessuno può riconoscersi meglio di me (in questo stereotipo…), perché io ho vissuto in quel mondo. (Quello dove…) La bistecca è da veri uomini…”
Grazie alla pubblicità ed all’impiego di personalità di spicco si riesce quindi a “vendere l’idea che i veri uomini mangiano carne” e Schwarzenegger ci tiene ad evidenziare come tutto questo “E’ una grande strategia di marketing da parte dell’industria della carne… Ma bisogna capire che è solo marketing. Non si basa sulla realtà”.
Qui si inizia a svelare il détournement, il documentario mi appare nel suo effetto straniante e, come nelle parole del produttore intervistato, si rivela come una enorme pubblicità al servizio del consumo plant-based che impiega numerosi sportivi per ribaltare l’equazione maschio-carne e rivelare un nuovo concetto che possiamo riassumere così ”Se vuoi essere un vero uomo, passa ad una alimentazione vegetale”.
Potrebbe sembrare una esagerazione, se non fosse che, proseguendo nella visione, immediatamente dopo gli interventi di Arnold Schwarzenegger si passa dall’argomento prestanza fisica a quello della prestanza sessuale.
Un piccolo e breve studio (ci tengono a sottolineare senza alcuna validità scientifica) dimostra che un’alimentazione a base vegetale permette non solo di avere migliori erezioni ma anche maggiori erezioni in un arco di tempo definito.
E si smonta a poco a poco il mito del rapporto carne-testosterone-potenza sessuale.
Capito? Se vuoi essere un vero e soddisfacente amante devi mangiare verdure, tanto che il medico intervistato ci tiene ad affermare che, quanto dimostrato, “Credo che aprirà gli occhi alle persone con il pene, e anche alle persone a cui piacciono le persone con il pene”.
Ed ecco che l’intero documentario, attraverso il cavallo di troia della salute fisica utilizza la dieta a base vegetale per promuovere la virilità sessuale e la forma fisica.
Gli “hegan”
Si costruisce una nuova identità maschile e “Questo ritratto di uomini vegani viene definito come “hegan”, uomini vegani attenti alla salute che sostengono gli ideali della mascolinità egemonica nonostante siano vegani” 1
Il documentario mi sembra trasformarsi in uno strumento per la promozione di una mascolinità tossica che trasla gli aspetti patriarcali un tempo appannaggio della dieta carnea in quella plant-based.
Anche in questo caso la pubblicità svolge un ruolo fondamentale, e le grandi multinazionali, attraverso una domesticazione del potenziale rivoluzionario del veganismo, lo rendono un prodotto più appetibile e vendibile, ed addirittura rassicurante per tutti quegli uomini che invece avevano paura di vedere intaccata la loro immagine virile dichiarando di essere “vegani”.
Non c’è più bisogno di nascondere il proprio stile alimentare per paura di essere considerati delle “femminucce” ma piuttosto si arriva a scrivere un libro dal titolo “Meat is for pussies” (La Carne è per le femminucce).
La filosofia vegan per scardinare il mito machista
Se è vero che un certo utilizzo dell’immagine dell’uomo vegano da parte della pubblicità e di certo mercato consumistico contribuisce a rafforzare quella che è la mascolinità egemonica, e quindi la possibilità di poter definire il maschile in base alle sue qualità di: robustezza, forza e virilità, spesso rappresentato in “immagini sportive, militari e mitopoietiche”, la filosofia vegan che supera il concetto di scelta alimentare legato al benessere ed alla forma fisica, ha invece il potere di scardinare questo mito machista, ed in questo senso si consiglia la lettura del testo Manifesto Queer Vegan di Rasmus Rahbek Simonsen nel quale si descrive come “Il veganismo mette in dubbio i preconcetti su che cosa sia una dieta “appropriata” e su come si debba vivere nelle società liberali occidentali contemporanee” sottolineando appunto “la potenzialità del veganismo di perturbare la solida e radicata concezione secondo cui virilità e carnivorismo sono aspetti naturalmente collegati” e a questo punto direi anche scardinando la nuova concezione secondo cui virilità e dieta vegetale sono naturalmente collegati.
Andrea Baffa Scirocco
Progetto Vivere Vegan