La nostra società ha un rapporto distorto con gli altri animali, considerandoli solo funzionali alla soddisfazione dei propri bisogni, delle proprie voglie. Rita Ciatti ne analizza i diversi aspetti e propone un approccio diverso, rispettoso dell’altro.
Topi da laboratorio, mucche da latte, cavalli da corsa, cani da guardia, vitelli da carne, conigli da carne, animali da pelliccia, animali da circo, animali da compagnia. DA: preposizione semplice che unisce tra loro due elementi di una frase o di più frasi; la preposizione da può svolgere diversi funzioni. Negli esempi sopra esprime la funzione di complemento di fine o scopo. Significa che agli animali sopra indicati viene assegnato un fine o uno scopo.
A tutti noi, talvolta, e nell’ambito di un preciso contesto, lavorativo, ad esempio, o sociale, può venire assegnato un preciso ruolo o venire riconosciuto uno scopo e una finalità, ma questi non sono riducibili al nostro valore ontologico complessivo.
Gli altri animali invece esistono e vengono riconosciuti e considerati solo in virtù della funzione che la nostra società gli assegna e hanno valore solo nella misura in cui assolvono più o meno bene questa funzione.
Così una mucca sfiancata da un parto dopo l’altro al fine di produrre latte verrà macellata nel momento in cui la produzione del prodotto per cui è stata mantenuta in vita fino a quel momento smetterà di rendere un buon profitto; il pollo sarà tenuto in vita fino a raggiungere il peso ottimale richiesto dal mercato, così il vitello e il coniglio e altri animali cosiddetti da carne; il cavallo finché avrà gambe buone per gareggiare o servire il suo cavaliere con la passione dell’equitazione, il topo da laboratorio per tutto il tempo che il suo corpo sarà ritenuto utile agli esperimenti in corso.
La cagna fattrice di razza X e la gatta fattrice di razza X continueranno a partorire cuccioli che saranno immessi sul mercato fino a che non sopraggiungerà un deperimento organico precoce. Questi cuccioli saranno venduti a prezzi elevati per soddisfare le richieste di “compagnia” dei consumatori che scelgono la razza, il sesso e il colore del manto (magari anche degli occhi) che più soddisfano il loro gusto estetico e le loro esigenze.
Cani sempre più piccoli, gatti sempre più pelosi o col il muso sempre più schiacciato, oppure sempre più veloci, agili, alti, snelli, a seconda della moda del momento o di quello che si cerca. Razze frutto di selezioni sempre più sosfisticate, non di rado portatrici di svariate patologie e di difficoltà nel respirare, correre, saltare.
Ma è proprio vero che cani, gatti, conigli e furetti “da compagnia” sono più tutelati?
Pensiamo che gli “animali da compagnia” – anche detti “pets”, termine inglese dal verbo to pet che significa “accarezzare” e che oggi si usa per denominare appunto tutti gli animali domestici tra i quali rientrano anche conigli, furetti e altre specie più o meno esotiche, pappagalli, canarini, pesci ecc.) – siano più tutelati e protetti; in realtà è vero solo all’apparenza, se per tutela si intende comunque sempre e solo la tutela del consumatore e dell’allevatore; mai quella del soggetto venduto o comprato, che è trattato spesso alla stregua di un peluche vivente, magari da scaricare a bordo strada o vicino ai cassonetti non appena inizia a stare male o a comportarsi secondo quelle caratteristiche individuali e di specie che gli sono rimaste (al netto di selezioni genetiche anche per affinare o esaltare determinate attitudini, poi magari migliorate da un “buon addestramento”).
I cani “difettati o difettosi” vengono persino uccisi, oppure venduti a prezzi più bassi, regalati, senza che vi sia controllo alcuno delle persone a cui andranno (basta pagare o, in questo caso, alleggerire di un peso). Alcuni allevamenti sostituiscono (sic!) il cane o gatto che si scopre “difettoso”, come se si trattasse di un semplice oggetto (e sta al proprietario decidere se accettare o meno).
Noi animalisti facciamo informazione da decenni per sensibilizzare le persone sul traffico e il mercato di cuccioli, legale o meno che sia, invitando ad adottare dai canili e gattili o seguendo i tanti appelli di richiesta di adozione.
Immaginando una società antispecista: l’amicizia non si compra
Ma io proverei a spingermi ancora oltre, immaginando una società futura antispecista. In questo futuro, che spero prima o poi realizzabile, la preposizione semplice DA che segue il nome comune di animale, quale ne sia la specie, ad indicare una sua funzione, è eliminata. Il DA non esiste più.
Esistono i cani, i cavalli, le scrofe, le mucche, i polli, i pesci, i gatti ecc. Anzi, esiste ogni singolo individuo.
Il suo valore ontologico non è più riconducibile a una qualsiasi funzione per ottenere qualcosa dal suo corpo e da lui in generale, che sia il profitto o altro, ma è intrinseco al suo esistere. Esisterà per sé stesso, per soddisfare ogni suo interesse di specie e individuale e non più i nostri. Nemmeno l’amicizia.
E dunque non avremo più i cani e i gatti a tenerci compagnia? Se lo vorranno. Come esito di un incontro, di una relazione costruita col tempo e nel tempo di un lungo progressivo avvicinamento e conoscenza reciproci. Esattamente come funziona tra di noi. Gli amici non li compriamo presso gli allevamenti di persone. L’amicizia è una relazione di sentimento di affetto e stima reciproci.
Certamente cani e gatti sono diversi rispetto ad altri animali più selvatici perché sono secoli che interagiscono con noi e, purtroppo, dipendono talora in parte da noi. Ma questo accudimento coatto che talvolta segue i nostri desideri o altri bisogni non meglio identificabili, anziché essere totalmente disinteressato, va analizzato e autoanalizzato.
Attenzione: non sto in nessuna maniera proponendo di ignorarli o non aiutarli se in difficoltà, feriti, investiti, malati, affamati. Sto dicendo che nelle nostre case e giardini non dovrebbe starci qualcuno per soddisfare un nostro desiderio, che sia di compagnia o altro, o perché cani e gatti suscitano tenerezza o riempiono dei vuoti esistenziali.
Io amo profondamente tutti gli animali e prima di intraprendere il percorso, sempre in fieri, dell’antispecismo, sono stata protezionista e prima ancora zoofila, cioè avevo la passione degli animali, mi piacevano gli animali, i cani in particolare. Se uscivo di casa e incontravo un cane non riuscivo a resistere alla tentazione di accarezzarlo. Oggi non lo faccio più perché ho imparato a vedere nei cani degli individui di altre specie, soggetti della loro stessa vita e so che non esistono per soddisfare il mio bisogno di tenerezza, di distribuire carezze o di giocare. Se poi sono loro ad avvicinarsi, allora è un altro discorso, mi presto volentieri all’incontro, seppur momentaneo.
Convivo con sei gatte e mi occupo di una colonia felina.
Le mie gatte – ripetendo una frase che ho letto giorni fa su Facebook, ma di cui non ricordo l’autore o autrice (mi scuso!) – non sono figlie mie, cioè non le ho partorite io, ma io mi sento la loro madre o sorella, o amica, a seconda dei ruoli che mutano nel tempo e anche a seconda della relazione che si ha con ogni singolo individuo.
Oggi una casa senza animali mi sembrerebbe vuota (sulla mia porta c’è appesa una targa che comprai a Portobello Market qualche anno fa e che recita: “A Home Without a Cat is Just a House”, trad.: “Una casa senza un gatto è solo un edificio”. In inglese “home” è il termine che indica proprio quello che definiamo “focolare domestico”, cioè, qualcosa di più del semplice edificio, ossia l’insieme di affetti e relazioni di una famiglia).
E ai cani e gatti con cui ho vissuto negli anni sono profondamente debitrice perché è grazie a loro se ho affinato la mia sensibilità ed empatia, se ho capito che sono individui tutti diversi, con un loro carattere, dei sentimenti, dei bisogni e delle paure persino peculiari che dipendono in parte dal loro vissuto e in parte dal loro patrimonio genetico (esattamente come noi).
In una società antispecista però non dovremmo adottare cani e gatti per riempire una casa che altrimenti ci sembrerebbe vuota, né dovremmo considerarli individui disponibili in numero infinito da scegliere, prendere, accudire.
Ma prima, adottiamo, accogliamo, svuotiamo le gabbie
Ma prima di arrivarci, intanto, in questo momento storico, è certamente buona cosa continuare ad adottare dai canili e gattili e aiutare quelli in libertà. In questa fase anzi è la cosa migliore che si può fare per aiutarli anche a riappropriarsi in futuro delle loro esistenze che non dovranno mai più essere al servizio nostro.
Mai comprare. Mai dare soldi agli allevatori perché per quanto seri, affidabili, e sinceramente amanti degli animali (ne conosco, eh) se fanno nascere cuccioli per venderli sono comunque persone che stanno usando le loro madri, che stanno sfruttando le femmine fattrici e che stanno approfittando delle mode del momento e dei capricci di persone che spesso comprano cani e gatti come fossero giocattoli e senza magari avere nessuna conoscenza di come ci si relazioni con un cane o gatto.
Rita Ciatti
Progetto Vivere Vegan