Torino. Nella notte tra il 27 e il 28 gennaio un centinaio di persone hanno occupato il mattatoio comunale di via Traves. Sono attivisti italiani, francesi, belgi e svizzeri che, dopo essere entrati di nascosto nei locali, si sono incatenati lungo il corridoio in cui gli Animali vengono spinti prima di essere uccisi, aderendo all’iniziativa dell’associazione francese “269 Libération Animale”.
L’intervista a Fabiana
«Abbiamo cominciato a organizzarci – racconta Fabiana, 49 anni, alle spalle un percorso di animalista che adesso è sfociato nell’antispecismo e non è ancora finito – dopo l’incatenamento al mattatoio Bell in Svizzera del novembre scorso. Quando sono venuta a conoscenza dell’iniziativa ho aderito con immediatezza, non è necessario essere iscritti a questa associazione, non ci sono tesseramenti, chiunque condivida la necessità di fermare l’uccisione degli Animali ma anche di dare un segno alle altre persone affinché riflettano, può partecipare a queste iniziative.
A terra, incatenati
Siamo partiti in un piccolo gruppo nel pomeriggio del 27 gennaio in auto, molti sono invece arrivati a Torino in treno. Siamo poi giunti nella zona del mattatoio di notte, non c’erano Animali perché la domenica rimane chiuso ma sapevamo dagli organizzatori che nel primissimo mattino sarebbero arrivati i camion con i loro carichi. In questo mattatoio si uccidono 100 vitelli al giorno. Prima di incatenarmi nel corridoio ho potuto guardare la “ruota”: quel meccanismo che solleva l’animale, lo mette a testa in giù e lo sgozza. Poi ci siamo coricati a terra e ci siamo legati e chiusi con i lucchetti e abbiamo atteso. Ogni tanto passava qualcuno degli organizzatori a chiederci se avevamo bisogno di qualcosa, dal fare la pipì a mangiare un po’ di zucchero e di cioccolato. Faceva freddo, erano le 2 di notte.
I camion con gli animali hanno cominciato ad arrivare che c’era già luce, non saprei dire l’ora precisa perché ero bloccata a terra, ma era dopo l’alba; vedevo solo la lamina che divide le persone dagli Animali.
Quando i poliziotti sono arrivati (Digos in borghese dentro e agenti in assetto antisommossa all’esterno, n.d.r.), non li abbiamo visti subito ma solo sentiti. Quando sono entrati, a ognuno di noi hanno ingiunto di alzarci, ma io, come gli altri, ho risposto che dovevano trascinarci a forza fuori da lì, come se fossimo corpi morti, esattamente come accade agli Animali, ogni notte.
La resistenza passiva degli attivisti
La resistenza passiva prevede anche che, quando gli agenti ti portano fuori a braccia, tutti gli altri che sono ancora a terra con te cerchino di trattenerti e ostacolare il passaggio per allungare i tempi dell’occupazione e dello sgombero e bloccare le attività il più possibile, perché ogni minuto fatto “sprecare” a chi gestisce il mattatoio gli causa anche un danno economico; ci hanno detto che Bell in Svizzera per il giorno di lavoro andato in fumo grazie alla nostra occupazione ha perso somme ingenti (Bell ha un fatturato stimato intorno al miliardo di franchi, n.d.r.).
Dai locali dove ci hanno portato per il controllo dei documenti e per la denuncia di rito (violazione di domicilio privato, resistenza a pubblico ufficiale, vandalismo perché gli attivisti hanno dovuto spezzare una barra di ferro per entrare), si vedeva l’intero spazio del mattatoio con le sue case dai mattoni rossi, sembrava proprio Auschwitz.
Poi ci hanno rilasciati. La grande pena di tutti è stata il pensiero che gli Animali nei camion che sono tornati indietro saranno stati macellati altrove. La macchina di morte ancora non si ferma. Ma posso dire ciò che si prova mentre sei lì a terra insieme agli altri, al Loro posto: senti di fare la cosa giusta, e provi un’emozione che ti cambia la vita. Migliori anche tu come persona».
Mattatoi e operai
Si chiude così la testimonianza di Fabiana che, tra l’altro, ci ha detto di aver saputo che nel mattatoio di via Traves a Torino (posto oltre tutto vicino a campus universitari) lavorano 26 persone, tutte straniere. Una notizia che dedichiamo a quella stampa, cattolica ma anche di destra e di sinistra, che parla di “superiorità della razza umana”, per cui si sarebbe giustificati nell’uccidere per cibarsi. E quegli uomini disgraziati, costretti a un lavoro che di umano non ha niente? Chi sono? Perché lo fanno? È un caso che siano tutti stranieri?
Una riflessione in più per dire ancora una volta che il destino degli uomini e quello degli Animali è unico: o ci salviamo tutti o non si salverà mai nessuno.
Ilaria Beretta
Progetto Vivere Vegan Onlus