Marina, una segugia di Cruccoli, in provincia di Crotone, ha passato l’inferno per mano di chi ne doveva avere cura, per risalire piano piano “a riveder le stelle” con l’unico occhio che le è rimasto.
Siamo a Cruccoli, in Calabria, provincia di Crotone. Due volontarie che si occupano di animali bisognosi vengono allertate da una telefonata: vicino a una villa, sul fare del bosco della zona, una segugia ha chiesto aiuto. La cagna è in condizioni allarmanti: è insanguinata e ha un occhio fuori dall’orbita.
Le due amiche si precipitano a soccorrerla, temendo all’inizio che avesse contratto la leishmaniosi ma rendendosi subito conto, dai pianti disperati dell’animale nel cercare di maneggiarlo per metterlo in auto, del dolore da trauma in atto.
Giunte dalla veterinaria, le volontarie scoprono che la piccola ha una ferita in testa subito sopra l’occhio, che purtroppo va asportato. Marina, questo il nome che è stato messo alla segugia, porta i segni della catena sul collo e presenta anche le orecchie mangiucchiate, non si sa se dai topi che probabilmente stavano nel suo ricovero o dalla rogna.
Effetti collaterali
Questa la triste vicenda. Nessuno sa da dove provenga Marina ma la razza fa fare delle ipotesi. I segugi sono notoriamente cani da caccia, selezionati per scovare le piste odorose degli animali cacciati. Purtroppo nel mondo animalista molti di noi sanno che quando un cane da caccia non ha le caratteristiche richieste o si rifiuta di giocare a questo gioco di morte e violenza con il cacciatore o semplicemente è ormai troppo vecchio e malato, egli comincia a pensare come disfarsene. Il più delle volte i cani da caccia vengono tenuti in terreni fatiscenti all’interno di luridi box e fatti uscire solo per l’uopo. Alcuni vengono nutriti costantemente, altri qualche giorno si e altri no, altri sono stati trovati reclusi in microterreni con le alghe nel secchio dell’acqua. Questa è l’amara realtà, sotto gli occhi di tutti. Tanti però non sanno che alternativa all’opzione di abbandonare questi cani “inutili” esiste nella mente dei cacciatori anche la possibilità di portarli nel bosco e di ucciderli, spesso con una fucilata, ma anche con una bastonata sulla testa. Quest’ultimo sembra essere il caso di Marina, visto che la ferita da oggetto contundente sta proprio sopra l’occhio uscito dall’orbita e asportato. In pratica la botta è stata così forte che l’occhio è uscito dal suo posto fisiologico.
La caccia è dunque un gioco di morte: morte dei poveri animali cacciati e spesso morte come effetto collaterale di quei cani di razze da caccia, come segugi, setter, breton, pointer, che non funzionano adeguatamente come strumento compagno del fucile. La morte è l’obiettivo di questo orrido “sport” che ancora fa proseliti anche tra i più giovani: sia del fagiano o dell’inutile segugina poco cambia.
Condizioni inumane
Sicuramente la vita di Marina non è stata una vita degna di questo nome nemmeno prima che il suo umano cercasse di ucciderla. Il segno della catena sul collo e le orecchie smangiucchiate fanno solo immaginare in che condizioni abbia vissuto la sua povera vita. E qui io non capisco: non capisco come sia possibile che nella mia specie ci siano persone che fanno il possibile per dare una vita dignitosa ai fratelli animali, che dedicano a questo la loro vita e la loro passione e persone come il cacciatore di Marina. E’ altresì vero che ogni individuo è un mondo a sé stante e non si può paragonare con altri ma l’interrogativo si presenta in maniera insistente. Come è possibile che le due volontarie che di tasca loro hanno operato e salvato Marina siano membri della stessa specie del cacciatore che ha tentato il suo assassinio? Credo che ci debba essere una chiave che apre le porte aperte nelle ragazze in questione di tutti i cuori umani, proprio in nome di quell’umanità che ci unisce tutti, ed è con questa speranza che porto avanti la mia battaglia e scrivo quest’articolo. Questa chiave va trovata e per trovarla va cercata: a quelle come me tocca il compito di trovarla.
Lieto fine
La fine attuale della storia di Marina ha tutta l’aria di essere un happy end: adesso gioca, corre con gli altri cani e ha trovato una bellissima adozione, dove finalmente riceve coccole sdraiata su un morbido divano. Finalmente si apre per lei una vita degna di essere vissuta. E’ una gioia vedere i suoi video dove scorrazza felice senza più il suo occhio, le ferite ormai completamente rimarginate, ma ancora con il suo nasone che tutto odora, che tutto capisce.
Resta tanta, tanta amarezza nel sapere che la sua storia è purtroppo una delle tante storie di segugi che caratterizzano il mondo dei cacciatori del nostro paese. Lei è salva, ma quanti ancora prigionieri rischiano la sua stessa atroce esperienza? Troppi. Per questo non possiamo smettere di cercare quella chiave.
Francesca Decandia
per Progetto Vivere Vegan