Quando i carnisti* si confrontano con i vegani, per difendere la loro posizione, danno vita ad una serie infinita di obiezioni, spesso davvero fantasiose. Le argomentazioni spaziano su diversi livelli e Rita Ciatti le divide in quattro macro-insiemi: quello dell’etica al ribasso; quello della nutrizione; quello della zoologia/etologia; quello dell’antropologia. Questo articolo affronta il primo, l’etica al ribasso.
La maggioranza ha sempre ragione?
Mettete una persona vegana in una stanza (anche virtuale, cioè l’account o la pagina di un social qualsiasi) insieme a carnisti convinti (l’aggettivo “convinti” potrebbe essere quasi pleonastico, dal momento che il carnismo*, come lo specismo in generale, è assimilabile a un atto di fede, cioè è l’adesione incondizionata a una credenza culturale basata su presupposti che oggi possono essere facilmente smontati e dimostrati come fallaci) e quasi inevitabilmente si scatenerà una rissa (metaforica, si spera). Il luogo comune vede la persona vegana pronta ad accusare, giudicare, aggredire tutte le altre; nella realtà accade quasi sempre il contrario: basta che si dichiari di non mangiare animali e derivati e subito si viene tempestati da obiezioni di vario tipo, volte sia a rassicurare e confermare la propria fede nel carnismo, sia ad attaccare e screditare il veganismo da più parti.
Il solo fatto di esporsi su un argomento così divisivo ci rende facilmente vulnerabili in quanto minoranza che mette in discussione credenze e idee radicate culturalmente (almeno per quanto riguarda il mangiare gli animali e derivati, pratica che comunque non esaurisce lo specismo), sostenute dalla maggioranza e che possono essere riassunte nella proposizione: mangiare “carne”, cioè animali, è normale, naturale, necessario.
Stanchi di rispondere sempre alle stesse obiezioni, a volte ci salviamo ricorrendo all’ironia e sarcasmo. I social pullulano di meme, post e persino account Instagram di attivisti che usano l’arma della comicità per prendere in giro i carnisti.
La semplice esistenza delle persone vegane (e spesso vegane da decenni) è la conferma che mangiare carne e derivati non è necessario ed è per questo che la sola nostra presenza in determinati contesti sociali può disturbare.
Le obiezioni possono essere riassunte in quattro macro-insiemi che contengono quattro fallacie logiche, cioè ragionamenti che sono illogici di per sé poiché partono da presupposti viziati, errati oppure semplicemente eludono il tema principale introducendone un altro apparentemente affine, ma concettualmente distante. Questi macro-insiemi sono: quello dell’etica al ribasso; quello della nutrizione; quello della zoologia/etologia; quello dell’antropologia.
Oggi affronteremo quello dell’etica al ribasso.
In questo insieme rientrano tutte quelle risposte/obiezioni che fanno appello all’impossibilità di adottare comportamenti etici al cento per cento, da cui il rifiuto di fare almeno quello che è nelle nostre possibilità fare e l’intento di screditare il veganismo assimilandolo a una sorta di pratica ascetica che non raggiunge i suoi obiettivi, come se l’obiettivo del veganismo non fosse quello di opporsi allo sterminio sistematico di miliardi di individui senzienti, ma di raggiungere l’immortalità di tutti i viventi (sì, sono ironica, ma quando ti dicono “Anche i vegani ogni volta che respirano possono uccidere un moscerino e poi anche l’insalata soffre” forse è proprio questo che pensano); e anche quelle obiezioni che confondono il tema dell’antispecismo con quello dell’ecologismo e dei diritti umani.
Un pomodoro, un telefonino, una mucca: trova le differenze.
Qualche esempio: “Anche i pomodori implicano sfruttamento perché vengono raccolti da persone sfruttate economicamente”; “Anche il telefonino o pc dal quale stai scrivendo comporta sfruttamento”.
In sé queste proposizioni sono vere. Spesso la frutta e verdura che compriamo è stata raccolta da operai sfruttati. Per produrre telefonini e PC vengono sfruttate persone, talvolta bambini.
Ma, uno, non abbiamo realmente la certezza che sia sempre così (almeno nel caso della frutta e verdura) e abbiamo comunque la possibilità di informarci sulla provenienza, evitando magari i prodotti che provengono da zone che sappiamo essere controllate dalla mafia o camorra e prediligendo quelli a Km. 0 che vendono nei mercati cittadini; due, si sta mettendo sullo stesso piano ontologico un animale con un pomodoro o un animale con un telefonino, dimenticando che lo sfruttamento delle persone che raccolgono la frutta o che sono impiegate nella produzione di alcuni prodotti è semmai un argomento indiretto rispetto allo sfruttamento e uccisione degli animali. Peraltro non è che gli addetti ai mattatoi o gli operai impiegati negli allevamenti siano trattati meglio e anzi, in alcune regioni, tipo la Campania, spesso gli allevamenti di bufale per produrre la nota mozzarella di bufala sono controllati dalla Camorra, quindi, a parità di sfruttamento indiretto di chi lavora per raccogliere pomodori, telefonini o “carne” e derivati animali, almeno scegliendo prodotti vegetali non siamo complici dello sterminio di altri esseri senzienti, che poi è questo il motivo per cui si diventa vegani, non altri (altrimenti non dovremmo parlare di veganismo, ma di alimentazione vegetale).
In tutti e tre i casi citati come esempio abbiamo più attori: animale ucciso, allevatore, macellaio e consumatore; frutto raccolto (poniamo sia il pomodoro), agricoltore, raccoglitore, consumatore; prodotto lavorato, operaio, consumatore.
Quindi, se a livello di sfruttamento degli attori umani che lavorano il “prodotto” in alcuni casi possiamo porci su un piano di presunta parità, quello che cambia enormemente è la natura ontologica del “prodotto”. In un caso è un frutto della terra, un pomodoro; in un altro ancora è un mero oggetto; nell’altro è invece un essere senziente, un individuo che viene considerato al pari di una merce, che viene ucciso per essere trasformato in prodotto, ma che non è un prodotto, non è un oggetto, non è una macchina per produrre qualcosa. Eludere questa differenza fondamentale significa ragionare in modo illogico e fallace.
Quindi, al netto delle problematiche etiche indirette che possono esserci nella produzione di ortaggi/verdure/frutta è comunque sempre più etico scegliere i prodotti vegetali anziché quelli che comportano l’uccisione di individui senzienti.
Un pomodoro non viene privato della sua esistenza ed esperienza nel mondo. Un telefonino è un oggetto, una cosa. Una mucca, un maiale, un pollo, un pesce, una gallina, un tacchino, una bufala ecc. invece sono esseri senzienti che vengono allevati per essere trasformati in prodotti.
La fallacia logica è nel considerarli già prodotti da consumare: al pari di un pomodoro, una carota o un PC.
E no, non si è consumatori consapevoli se si dichiara di conoscere la provenienza degli animali allevati e uccisi, a meno che per consapevole non si intenda: sì, sono consapevole di prender parte di un sistema che schiavizza e stermina esseri senziente, quindi di essere complice di un sistema di dominio e violenza.
E allora i batteri?
Rientrano nell’etica al ribasso anche tutte le scuse inerenti l’impossibilità di evitare l’uccisione di animali molto piccoli: “Quando vai in macchina schiacci insetti sul parabrezza, quando cammini uccidi le formiche, non puoi evitare di investire un gatto e ucciderlo”.
Anche questa proposizione è vera, ma non possiamo usarla come scusa in quanto c’è differenza tra un’azione intenzionale e un’azione involontaria.
Ovviamente se parlassimo di esseri umani non useremmo mai questa scusa per giustificare l’omicidio.
Pur non potendo evitare di ferire, investire con l’auto, far del male a qualcuno involontariamente; di certo non useremmo un incidente come scusa per promuovere campi di concentramento umani (semmai se ne usano altre e storicamente spesso prima di arrivare a compiere atrocità su altre etnie si è sempre ricorso alla loro riduzione all’animalità in quanto insieme ontologico negativo e degradato per eccellenza proprio per innalzare l’umano e alcune tipologie di umano in particolare a seconda dei periodi storici e del paese in cui si vive).
Siamo animali molto grandi e possiamo uccidere involontariamente insetti o altri piccoli animali nel solo atto di muoverci e uscire di casa; ciò non deve esimerci però dall’evitare la violenza intenzionale. Possiamo uccidere parassiti o batteri (i batteri non credo siano senzienti, come non lo sono i virus) per sopravvivenza, ma si tratta appunto di una forma di legittima difesa e non è di questo che si occupano il veganismo e l’antispecismo.
Il pescatore thailandese è più vegano del vegano occidentale? No.
L’altra fallacia logica invece tiene in considerazione l’impatto ambientale e anche in questo caso si mettono sullo stesso piano i prodotti vegetali e gli animali. Il parametro usato è quello dell’impatto, dimenticando la natura senziente degli animali e la loro soggettività.
Forse è vero che a livello di impatto ambientale un pescatore della Thailandia inquina meno di una persona vegana che consuma prodotti industriali in occidente, ma ancora si stanno mettendo sullo stesso piano due entità molto diverse. Il pescatore e il consumatore occidentale vegano sono entrambe due persone umane, ma il primo uccide un ulteriore individuo, il secondo no.
Un prodotto vegetale, per quanto comporti sfruttamento umano, consumo idrico, dei territori ecc., almeno non contempla l’uccisione di un ulteriore individuo senziente. Lo ripeto: il veganismo è l’opposizione allo sterminio sistematico degli animali e va di pari passo con l’antispecismo. Altrimenti non possiamo parlare di veganismo, ma di alimentazione vegetale per altri fini.
E comunque sia, produrre vegetali è sempre conveniente in termini di: risparmio idrico, consumo dei territori, inquinamento ambientale e persino sfruttamento umano perché raccogliere un pomodoro, per quanto possa essere faticoso, è quanto meno un’attività che non comporta violenza diretta su altri individui. Di fatto i consumatori carnisti delegano ad altri ciò che essi stessi farebbero malvolentieri: cioè uccidere, spellare, sezionare, tagliare, trinciare individui senzienti.
Consumare vegetali è più etico
Consumare animali e consumare vegetali sono due pratiche che non potranno mai essere messe sullo stesso piano etico, nemmeno al netto del miglioramento della loro produzione.
Anche l’allevatore più attento, il pescatore più ecologista che ci sia e il consumatore più consapevole sono comunque colpevoli o mandanti di aver tolto la vita a esseri senzienti. La pratica di allevare, schiavizzare, usare, trasformare in prodotti gli altri animali è una pratica di violenza. Per quanto normalizzata, normata da leggi assurde, naturalizzata, alla fine si riduce sempre comunque all’atto pratico definitivo e irreversibile di sgozzare esseri senzienti.
Questi ragionamenti di etica al ribasso vengono sempre adottati quando si parla degli altri animali a causa, ovviamente, dello specismo.
Infatti non diremmo mai a una persona che fa volontariato per i bambini orfani “Anche il pc da cui stai scrivendo probabilmente ha reso qualche bambino orfano”, o a chi fa volontariato per i diritti umani in qualche paese del mondo assediato dalla guerra “L’aereo con cui vai in quel paese ha sterminato un miliardo di insetti”.
Il veganismo non può essere disgiunto dall’antispecismo, altrimenti viene svuotato di ogni significato e diventa una dieta tra le tante. Gli altri animali devono restare soggetti centrali, altrimenti il campo delle argomentazioni indirette mostra il fianco ad obiezioni di vario tipo, ugualmente smontabili, ma che aggiungono confusione alla già scarsa conoscenza dell’argomento.
Rita Ciatti
Progetto Vivere Vegan
*Il termine carnismo è stato coniato dalla psicologa statunitense Melanie Joy nel libro “Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche?” pubblicato da Sonda.