L’arte, delicata e cruda allo stesso tempo, diventa un mezzo per raccontare le crudeltà subite dagli animali e si presenta come canale di una consapevolezza ancora poco diffusa.
Tutte le forme d’arte sono da sempre uno strumento molto potente utilizzato non solo per raccontare eventi storici, per esprimere sentimenti e mettere in luce situazioni che abbracciano diversi aspetti della nostra vita, ma soprattutto un mezzo di denuncia di circostanze che necessitano cambiamenti.
Tra le varie forme di espressione artistica, l’arte anti-specista viene utilizzata da vari artisti e attivisti, che mirano a raccontare ciò che accade negli allevamenti con opere che vogliono raggiungere quante più persone possibili, soprattutto chi ancora non ha preso coscienza della situazione, mirando ai sentimenti e a smuovere gli animi.
L’articolo punta ad analizzare alcune delle opere di questi artisti, ancora poco conosciute, soprattutto tra chi deve avvicinarsi ad uno stile di vita più etico, nel rispetto degli altri animali.
Il primo artista è Francisco Atencio. Francisco vive a Mendoza, in Argentina ed è il fondatore del Progetto “Arte Animal”, che mira a diffondere i diritti degli animali attraverso l’arte. Tra le sue opere troviamo “Madres” un quadro che raffigura tre coppie di madri, cane, maiale e gallina, con i rispettivi figli.
Atencio ci invita alla riflessione su come diversamente guardiamo una gallina con il proprio pulcino da un cane con il cucciolo. Questa visione, infatti, ci porta a considerare le due specie di animali su livelli diversi, devianza che nasce dalla visione dell’uno come fonte di nutrimento e l’altro come membro delle nostre famiglie, convinzione che porta a ritenere di maggior valore la vita di un cane rispetto a quella di un pollo o di un maiale.
L’opera ricorda un quadro molto famoso del 1889 di Giovanni Segantini, “Le due madri”, raffigurante una giovane madre all’interno di una stalla con in braccio il suo bambino e sulla sinistra una vacca con il vitello che riposa a terra. Anche qui la maternità è un tema importante e i due quadri ci invitano a guardarla mettendo da parte le lenti speciste che non ci permettono di vedere la realtà in modo razionale e coerente.
Le famose lenti speciste non fanno altro che far apparire la madre che tiene in braccio il figlio come immagine dolce e calorosa, mentre l’immagine della vacca e del vitello riporta immediatamente alla carne e al latte, derivati di quest’ultimi, a prova della diversa considerazione che si ha dei due soggetti.
Sue Coe è un’artista inglese contemporanea, nota per le sue illustrazioni grafiche e il suo attivismo, intensamente politici. Nata a Staffordshire, in Inghilterra, è cresciuta vicino a un mattatoio, che ha instillato in lei una passione per l’attivismo per i diritti degli animali.
Tra le opere di maggiore impatto vi è “Bill”. Con questo quadro l’artista mira a far prendere coscienza sul consumo di carne a coloro che continuano a mangiare gli animali, rappresentandoli perseguitati dai fantasmi della carne che consumano ogni giorno, come scrive in alto sul quadro.
I fantasmi della carne possono simboleggiare sia tutte quelle vite spezzate ogni giorno solo per soddisfare il palato di chi continua ad essere il primo responsabile dei massacri nei macelli, sia tutto ciò che di nocivo vi possa essere nel consumo di carne.
Un’altra tematica molto importante viene toccata da uno dei suoi quadri intitolato “Blind children feel an elephant” (“Bambini non vedenti toccano un elefante”). Quest’opera si presenta come una denuncia al circo, luogo dove regna lo sfruttamento degli animali. Il quadro, altamente metaforico, ci mostra due scene poste su livelli diversi. In primo piano troviamo dei bambini non vedenti che accarezzano un elefante, scena allegra e luminosa, mentre in secondo piano, avvolta da un’aurea più grigia e cupa vi è un elefante che sta per tornare nella propria gabbia. L’elemento metaforico coinvolge proprio i bambini ciechi, per denunciare la “cieca” consapevolezza dell’uomo di ciò che accade dietro le quinte di un circo, mostrato come un luogo idilliaco e divertente per gli animali.
Twyla Francois vive in Canada. Ha co-fondato una piccola organizzazione di difesa degli animali, e ha immediatamente iniziato a condurre indagini sulla situazione negli allevamenti . Tutto il suo lavoro, investigativo e artistico, cerca di sfidare le nostre convinzioni di base sugli animali da allevamento e promuovere un senso di giustizia per tutti loro.
Tra le sue opere troviamo “Free Me”, rappresentante un maialino che guarda fuori dalla finestra, una realtà e una libertà che non potrà mai toccare. Questa situazione riguarda non solo i maiali, ma anche i polli, i vitelli, i tacchini, le pecore e tutti quegli animali che trascorreranno la loro intera vita all’interno di gabbie e capannoni, dove la luce del sole rimane solo un lontano ricordo per chi ha avuto la fortuna di vederla anche solo per pochi minuti. Alle spalle del maiale vi è la sua ombra, a simboleggiare il destino che lo attende. La loro intera esistenza si trova appesa ad un gancio, tra la speranza di libertà e la consapevolezza di ciò che invece avverrà.
Per concludere vi sono i lavori di Hartmut Kiewert, artista tedesco che, con le sue opere, mira a sovvertire il blocco della coscienza collettiva e individuale nei confronti del trattamento degli animali.
La censura e la repressione attuate nei confronti del loro sfruttamento viene in qualche modo neutralizzata dai quadri dell’artista che diventano luoghi di racconto, di testimonianza e di denuncia, esprimendo delle prospettive utopiche su un mondo post-moderno, che ha superato la violenza verso gli altri animali.
Uno dei quadri che merita una profonda analisi è “Evolution of Revolution” (Rivoluzione evoluta). Per realizzare quest’opera l’artista si rifà al celebre dipinto “La libertà che guida il popolo” realizzato nel 1830 da Eugène Delacroix.
Come il quadro dell’artista francese anche qui la struttura è piramidale e allegorica. In primo piano, al posto dei caduti, lo spazio è occupato dagli animali maggiormente sfruttati: un’oca, un visone, un maiale, un coniglio, una mucca, un tacchino, una gallina, un agnello, una capra e tanti pulcini che, appena usciti da una situazione di prigionia, avanzano verso un avvenire di libertà. Dietro di loro, irrompono i combattenti. La donna, allegoria della libertà, con il braccio destro alzato non brandisce una bandiera nazionalista, ma lo strumento usato per rompere le catene dello sfruttamento, un paio di tenaglie. Accanto a lei anche il ragazzino che, al posto delle due pistole, in questa rivisitazione del celebre dipinto, brandisce tenaglie e martello, gli strumenti operai di questa nuova e non meno rivoluzionaria liberazione, definita dallo stesso autore una “rivoluzione evoluta”.
I protagonisti di questo quadro, ai quali è stato impresso un movimento che sembra portarli fuori dalla tela, avanzano tra quel che resta di un muro crollato e di un reticolato strappato.
L’arte anti-specista si presenta come strumento per dar voce a chi purtroppo voce non ha per poter denunciare tutte quelle ingiustizie e maltrattamenti perpetrati ogni giorno. Come afferma Hartmut Kiewert, dovremmo mirare a portare avanti una “Rivoluzione evoluta”, dove gli animali possano vivere liberi e lontani dallo specismo che li rende schiavi.
Serena Gentile
Progetto Vivere Vegan