La vita delle api è fragile, collegata a un ecosistema che non funziona, a pratiche agricole che le avvelenano, a pratiche apistiche che le indeboliscono; l’informazione e le reti social se ne occupano quest’anno in modo particolare ma rimane improprio, se non sbagliato, il modo come viene affrontata la questione: al centro delle fragili vite delle api ci sono le api, ogni singola ape, non l’ecosistema in perdita o la ridotta produzione di miele. In Scozia, una donna incontra un’ape bombo e ci dà la misura corretta per guardarle in modo diverso.
Le api tra vandalismo e incidenti
Questo 2019 non è l’anno delle Api. È cominciato a gennaio negli Stati Uniti con un gruppo di adolescenti che per puro divertimento hanno distrutto una cinquantina di alveari, condannando a morire di freddo oltre mezzo milione di Api; poi, ancora negli Stati Uniti, un camion ribaltato che trasportava arnie, ha causato la dispersione di 133 milioni di api (per non parlare di quelle morte schiacciate), rimaste senza i punti di riferimento che sono le loro Api regine.
La primavera 2019 è stata fredda e le Api hanno interrotto le loro abitudini stagionali, non sono uscite alla ricerca dei fiori e del nettare con le quali producono il loro nutrimento: il miele.
Le api vittime di diserbanti e insetticidi
A marzo in provincia di Udine si è registrata una moria di Api a causa dell’uso di insetticidi e pesticidi da far intervenire il Parlamento con un’interrogazione, nell’intento di fermare definitivamente l’impiego di queste sostanze, alcune delle quali vietate dalla Comunità Europea già dall’anno scorso proprio a salvaguardia delle Api. Sono infatti definitivamente al bando in Europa queste sostanze: Imidacloprid e Clothianidin – Bayer e Tiamethoxam – Syngenta, che potranno essere utilizzate solo nel chiuso delle serre.
Un’altra strage nella provincia di Varese ha ucciso 800.000 api, e le cause non sono ancora adesso state appurate.
Ma certo Udine e Varese non sono le sole provincie dove si sono registrate morie di Api, o anche di farfalle, bombi e altri insetti impollinatori come falene e coleotteri; il fenomeno negativo è purtroppo in crescita da decenni, al punto che in ambito scientifico si è dovuto coniare l’acronimo SSA – Sindrome di Spopolamento degli Alveari, in inglese CCD – Colony Collapse Disorder.
Le Api oggetto di sfruttamento
E ci sono anche altri fattori che ostacolano una buona vita delle Api, a partire dalle modalità del loro allevamento per la produzione di miele.
Le arnie sono spesso sovraffollate nell’intento di spingerne al massimo la produzione, ma così facendo i riti ben strutturati delle comunità apiarie vengono affrettati e alterati con un indebolimento della loro struttura sociale e conseguente disorientamento degli individui. Ogni ape, ad esempio, ha un ruolo che cambia secondo l’età, passa dal fare le pulizie all’interno del favo, quando è giovanissima e inesperta, a costruire celle di cera dove verranno cresciute le larve, diventa prima difensore del favo e poi “bottinatrice” del nettare dei fiori, per poi, in tarda età (circa 40 giorni) tornare a occuparsi dell’interno del favo. Ma in un ambiente stretto e costretto queste azioni, frutto di milioni di anni di evoluzione in società sempre più complesse, sono svolte sotto stress.
Il miele, inoltre, è l’alimento delle Api e serve loro per sostenersi nell’instancabile lavoro; incurante di ciò, una pratica molto diffusa tra apicoltori consiste nel sostituire il miele tolto alle Api con una miscela a base di acqua e zucchero, che non ha il potere di sostentamento del miele e non contiene tutti quei micronutrienti che mantengono le Api sane rafforzando le loro difese immunitarie. Sempre per quanto riguarda l’allevamento, nelle azioni meccaniche di estrazione dei telai per il recupero di miele, propoli, pappa reale e cera e nelle operazioni di trasporto molte Api rimangono comunque ferite o schiacciate.
Le api vittime del Varroa, ma la causa è sempre l’uomo
Una delle cause dirette di mortalità delle Api è un acaro di nome Varroa, un parassita che si attacca al loro corpo e ne succhia i liquidi vitali, indebolendolo al punto da farlo morire. Interi favi ne rimangono distrutti. Sono state proprio le pratiche di apicoltura intensiva e irresponsabile a portare gli acari Varroa in Europa e in Italia, una cinquantina d’anni fa, quando, pensando di aumentare la produzione mellifera incrociando l’Ape mellifera europea con l’Ape cerana orientale, l’industria del miele europea ha importato dall’Asia grandi quantità di Api cerana, che sono infestate da questi parassiti ma li sopportano perché si sono evolute con esso. Le Api mellifere europee, invece, non hanno difese contro il Varroa, a loro geneticamente sconosciuto, e soccombono.
Le api protagoniste dei media e dei social
In questo 2019 nefasto per le Api, i media – la stampa scientifica, quella di divulgazione e le cronache cittadine – e le reti social si sono interessati alle Api come segno dell’Ecosistema sconvolto, e in effetti si sta riducendo pericolosamente l’impollinazione entomofila (tramite insetti) che consente la riproduzione di molte specie vegetali tra le quali quelle della produzione alimentare. Altri media si sono dedicati alle Api considerando il grande danno economico: dalla perdita del 50% della produzione di miele al rialzo dei prezzi per un bene divenuto più raro.
La storia di Fiona e di Bee
Le Api sono da sempre prese ad esempio di intelligenza, capacità evolutiva e utilità nel loro esistere come società, ma un pensiero etico dovrebbe considerarle non solo nella loro mirabile struttura sociale ma anche come individui singoli: il valore di una singola vita non deve appannarsi a causa del gruppo al quale appartiene.
È quello che ha pensato Fiona Presly, una signora scozzese, quando ha trovato un’Ape bombo nel suo giardino: era senza ali (a causa di un virus, ha poi scoperto) e comprendendo che da sola non sarebbe sopravvissuta le ha creato un piccolo angolo protetto pieno di fiori e ha cominciato con lei una relazione di conoscenza, l’ha chiamata Bee, e un’amicizia che è durata 5 mesi: il suo tempo di vita. Una storia diffusa anche su Youtube che ha interessato anche il mondo scientifico: Lars Chittka, professore di Ecologia alla Queen Mary University di Londra ha dichiarato: «È meraviglioso quanto ancora abbiamo da imparare sulla natura degli insetti. A volte servono delle affettuose osservazioni esterne per generare nuovi punti di vista».
Sono proprio nuovi punti di vista, ciò di cui abbiamo tutti bisogno per vivere in maniera davvero ecologica. Potremmo risolvere alla radice il divario che fa stare l’umanità con una corona in testa ma su una zattera sempre più stretta e rabberciata e dall’altra parte tutti gli esseri viventi. Per non dire che da questi nuovi punti di vista potrebbero essere re-interpretate anche le relazioni all’interno dell’umanità, e non potrebbero che migliorare.
Ilaria Beretta
Progetto Vivere Vegan Onlus