Chi si prende cura dell’Altro, che sia una persona umana o animale, può a volte incorrere nell’affaticamento empatico. Il dott. Andrea Baffa Scirocco, psicologo, ce ne parla per meglio affrontare il nostro attivismo.
Quello di “compassion fatigue”, che proviamo a tradurre come “affaticamento empatico”, è un concetto che si riferisce al disagio psico-fisico che potrebbero vivere coloro che si prendono cura di altri. Con il termine “compassion fatigue” ci si riferisce sia allo stress legato al “costo” della cura, sia ai processi di traumatizzazione secondaria che seguono all’esposizione al dolore di altri esseri viventi.
Questo è il motivo per cui è una condizione possibile tra i cosiddetti “caregivers”, quindi tra coloro che si prendono cura dei viventi sia che si parli di animali umani sia che ci si riferisca ad animali non umani.
Cos’è la Compassion Fatigue
Charles Figley è lo psicologo che ha coniato il termine, in seguito al suo lavoro con veterani del Vietnam. Egli ha notato che stava subendo dei cambiamenti in seguito alla esposizione ai traumi ed alle violenze reali e raccontate dai militari che stava curando, cambiamento che non solo era legato alla sua emotività personale, ma che stava andando anche a compromettere le sue capacità professionali. Egli inizia a parlare di “costo della cura” e descrive l’affaticamento empatico come lo “stato sperimentato da coloro che aiutano persone o animali in difficoltà; è uno stato estremo di tensione e preoccupazione per la sofferenza di chi viene aiutato tale da creare uno stress traumatico secondario per il professionista”.
Compassion Fatigue e Burn Out
Spesso l’affaticamento emotivo viene confuso con il burn out, di cui abbiamo parlato in un precedente articolo, poiché entrambi i concetti sono legati ad un accumulo di stress e portano ad un esaurimento emotivo con pesanti ricadute psico-fisiche.
Mentre il Burn out è legato ad una condizione spesso strutturale del gruppo di lavoro o di attivismo, di insoddisfazione, di sopraffazione, l’affaticamento empatico è invece una dimensione privata legata all’empatia ed all’azione messa in campo nei processi di cura ed è causato dal profondo impoverimento emotivo e fisico che si verifica quando non si è più in grado di rifornirsi e rigenerarsi.
Inoltre mentre in burn out è possibile in ogni ambito lavorativo, l’affaticamento emotivo è specifico del caregivers e di alcuni specifici ambiti.
I sintomi dell’affaticamento emotivo
La compassion fatigue non sta ad indicare una malattia ma piuttosto un gruppo di sintomi, che includono:
● L’autoisolamento
● L’abuso di sostanze
● Affaticamento mentale e fisico con conseguenti sintomi quali difficoltà di concentrazione, disturbi del sonno, apatia
● Perdita di senso rispetto al proprio impegno
● Scatti emotivi improvvisi
● Flashback e incubi
● Disturbi fisici quali mal di testa, dolori muscolari soprattutto localizzati a schiena e spalle
Ognuno di questi sintomi trova una spiegazione nella fase di affaticamento emotivo.
Pensiamo all’autoisolamento come una forma di protezione dal momento che non abbiamo più nulla da dare mentre dall’esterno continuano a chiedere, chiedere, chiedere.
Consideriamo invece l’abuso di sostanze come un fallimentare tentativo di autocura. Un tentativo di alleviare quel peso che portiamo addosso e tentiamo di gestire e che è la causa dei disturbi fisici legati al dolore alla schiena, al dolore alle spalle ai forti mal di testa.
Leggiamo gli scatti emotivi come la conseguenza di quell’atteggiamento spesso presente nei processi di cura, oltre che legato ad aspetti culturali, per cui si ha la tendenza a nascondere e seppellire nel profondo le proprie emozioni, spesso vissute come un ostacolo ed un impedimento rispetto ai propri scopi. Si arriva a negarle senza capire che continuano ad agire dentro di noi.
Se vogliamo poi individuare alcune degli elementi caratteristici del “costo della cura” nell’ambito dell’attivismo per gli animali non umani, possiamo ricordare che impegnarsi per il benessere e la liberazione animale in un mondo specista aggrava la “compassion fatigue”, sia perché la prospettiva temporale della propria azione è incalcolabile e spesso non si ha un immediato riscontro del proprio impegno, sia perché il proprio operato viene spesso criticato, sminuito, e non compreso.
L’impegno profuso quindi non ha mai fine e non viene riconosciuto da nessun*
Cosa fare quindi per potersi proteggersi?
Mentre per superare le condizioni di burn out si richiede un impegno che vede coinvolti aspetti strutturali ed organizzativi, per la “compassion fatigue” la protezione assume un valore del tutto individuale.
Bisogna essere innanzitutto onesti con se stess* e imparare a gestire i propri limiti. Dal momento che una delle caratteristiche principali che portano all’”affaticamento emotivo” è la cattiva gestione delle proprie energie e risorse bisogna capire che consumarsi per una causa, anche la più nobile, alla fine non permette di raggiungere i propri obiettivi, perché si arriva a non avere più nulla da dare, si arriva all’esaurimento di tutte le proprie possibilità fisiche emotive e temporali. In queste condizioni l’azione non è più possibile se non addirittura controproducente.
Bisogna trovare un equilibrio nella propria vita capace di bilanciare i momenti di attivismo con altri che non lo contemplano.
E soprattutto bisogna imparare a chiedere aiuto. Anche noi possiamo avere bisogno di sostegno e non si può vivere questa necessità né come un ostacolo né come una sconfitta. A volte si richiede una vera e propria ristrutturazione dei propri stili di vita e delle priorità, una cosa che non è affatto semplice e che potrebbe richiedere il sostegno di un professionista.
Dott. Andrea Baffa Scirocco
Progetto Vivere Vegan
Articoli e video online
Empathy Burnout and Compassion Fatigue Among Animal Rescuers
Beating the Burnout While Working For a Compassionate World
Symptoms of compassion fatigue (and how to cope)
More People Are Experiencing Compassion Fatigue in Quarantine. Here’s How to Cope
How to Manage Compassion Fatigue in Caregiving | Patricia Smith | TEDxSanJuanIsland