Pasqua si avvicina e al pari di altre feste che prevedono pranzi in famiglia, o di qualsiasi altro momento di socialità a tavola, può diventare un motivo di stress per le persone vegane.
Sindrome da stress post traumatico secondario
Intanto, una premessa: qualsiasi forma di disagio o dolore che proviamo noi che ci occupiamo dei diritti degli animali è nulla rispetto alle condizioni di estrema sofferenza che vivono gli animali stessi, tuttavia esiste anche la sindrome da stress post traumatico secondario che è la patologia di cui soffrono le persone che si occupano o che sono in qualche modo vicine alle vittime principali di una violenza; di questo non soltanto va tenuto conto, ma sarebbe anche utile parlare per evitare di andare in burn out, cioè ammalarci di esaurimento nervoso, depressione, ansia e patologie simili a carico della nostro sistema psichico.
Noi vegani, soprattutto se facciamo anche attivismo, siamo sottoposti infatti a una condizione di stress continuo poiché vediamo e riconosciamo tutte quelle forme di sfruttamento e violenza sugli animali che solitamente restano invisibili ai più in quanto normalizzate e naturalizzate.
È come se vedessimo una realtà nascosta dietro quella ordinaria.
Anche una semplice passeggiata in città può diventare per noi fonte di enorme disagio e stress: nelle vetrine dei negozi di abbigliamento riconosciamo i corpi lavorati degli animali sotto le forme lavorate di indumenti e accessori di vestiario; nei banchi del supermercato scorgiamo le parti di quelli che erano individui senzienti o i prodotti del loro sfruttamento e schiavitù; nel reparto pescheria assistiamo, impotenti, a scene di ordinaria crudeltà, ossia all’acquisto di animali marini spesso ancora vivi o comunque esposti su ghiaccio con gli occhi fuori dalle orbite e la bocca spalancata; nei parchi di alcune città notiamo cavalli che trainano pesanti carrozze e la situazione non è certo più rosea per chi vive in campagna, dove i colpi di fucile risuonano già nelle prime ore mattutine durante i periodi di caccia; mettersi in auto implica percorrere strade delimitate ai margini da sagome di capannoni al cui interno vivono reclusi quantità enormi di individui allevati o incrociare direttamente quegli orribili TIR diretti al mattatoio. Altri luoghi di reclusione ci appaiono per quello che sono: appunto, luoghi di reclusione, solo che la gente comune li chiama bioparchi, circhi, delfinari o fattorie didattiche.
Momenti di convivialità con persone non vegane
Questa massa di dolore a noi visibile si può acuire nei momenti di socialità conviviale perché non sempre amici e parenti comprendono l’importanza di una scelta di giustizia come quella vegana e continuano a pensare che si tratti di una scelta personale da rispettare nella misura in cui appunto rimane personale.
Negli anni ho ascoltato e letto parecchie testimonianze di persone vegane che si rifiutano di partecipare ai pranzi di famiglia in cui sono previste portate con corpi di animali e derivati animali e in cui l’opzione vegana è considerata una bizzarria al massimo da tollerare, ma a patto che il vegano o la vegana di turno non si permettano di dire nulla e se ne stiano zitti in un angoletto a mangiare il loro piatto vegetale, magari rispondendo educatamente a tutte le domande del caso, sfottò compresi. Posso capirle. Chi mai vorrebbe sottoporsi a uno stress simile?
Ma c’è anche chi invece accetta, seppur controvoglia. Lo fa per amore della famiglia, degli amici, dei parenti, per non urtare la sensibilità altrui.
Riguardo la questione infatti ci sono opinioni diverse: c’è chi sostiene che sia preferibile comunque partecipare a questi momenti di convivialità senza dire nulla e portando il proprio esempio di un modo diverso di alimentarsi; ma c’è anche chi crede che trovarsi accanto a chi divora parti di animali sia inaccettabile per diversi motivi.
Differenza tra veganismo e alimentazione plant based
Io credo che prima di prendere una decisione dovremmo innanzitutto chiederci cosa sia il veganismo e perché siamo diventati vegani e così distinguere il veganismo dall’alimentazione cosiddetta plant based (a base vegetale).
Se abbiamo deciso di passare a un’alimentazione vegetale per motivi di salute e quindi consideriamo questa scelta una dieta al pari di altre, non c’è motivo per cui dovremmo criticare o opporci ad altri tipi di dieta.
Se lo abbiamo fatto per motivi di sostenibilità ambientale, certamente potremmo muovere qualche appunto ai nostri commensali che mangiano animali e derivati, ma questi ultimi, dal canto loro, potrebbero risponderci che mangiare carne una volta ogni tanto non è poi così impattante e che comunque la carne che comprano loro è del contadino dietro casa e non proviene da allevamenti intensivi. Insomma, sappiamo bene quanto l’argomento dell’ambiente non sia poi così cogente in termini di rispetto degli animali semplicemente perché sposta il discorso in un’altra direzione in cui entrano in gioco altri argomenti, altre obiezioni con relative soluzioni niente affatto migliorative per gli animali stessi.
Il discorso cambia totalmente se invece siamo diventati vegani perché abbiamo compreso che schiavizzare, sfruttare, uccidere e consumare animali è ingiusto e sbagliato dal punto di vista morale in quanto non tiene in alcun conto gli interessi degli animali stessi, tra cui il principale, che è quello di vivere.
Una questione di giustizia sociale
Ponendo la questione in questi termini ne facciamo una questione di giustizia sociale e politica, oltre che di morale, ossia di opposizione al sistema che li sfrutta per trasformarli in prodotti e trarne profitto.
Diventa qui insostenibile pensare di mangiare accanto a persone che non percepiscono e non vogliono percepire la tragedia dello sterminio sistematico degli animali.
Accettare di farlo equivarrebbe infatti a confermare l’idea specista che mangiare o non mangiare animali sia in fin dei conti una scelta solamente personale dettata da motivi altrettanto personali di dieta oppure etici di rispetto ambientale ma per cui non è prevista un’osservanza così rigida in termini di osservanza della dieta stessa.
Mi rendo conto che rifiutare di partecipare a un evento conviviale in cui siano previsti corpi di animali oppure chiedere ai parenti ed amici di rinunciarvi spiegandogli l’importanza del veganismo e come sia questione di giustizia e rispetto degli animali possa farci sembrare “degli estremisti intolleranti”. Sì, il rischio c’è, ma solo se non sapremo trovare il modo più efficace per argomentare a favore degli animali.
Chiediamoci se da attivisti per l’abolizione della schiavitù avremmo mai accettato di sederci a una tavola in cui si veniva serviti dagli schiavi.
Come possiamo, da vegani (se il veganismo è inteso nell’accezione di opposizione allo sfruttamento e uccisione degli animali e allo specismo in generale), sederci a una tavola dove vengono serviti i corpi di questi stessi individui che diciamo di voler difendere e liberare?
Non soltanto non saremmo credibili noi, ma il veganismo stesso non lo sarebbe, diventando così, effettivamente, “una dieta come un’altra”.
Non si tratta di comportarci da “moralisti”, ma di diffondere e farci promotori di “Una morale per tutti gli animali” (per citare il titolo di un breve saggio del filosofo Oscar Horta, edito da Mimesis), ossia una morale di giustizia, rispetto, nonviolenza.
Specialmente a Pasqua, facciamo in modo che le persone a noi vicine possano riflettere.
Ricordiamoci che non siamo noi a essere estremisti, ma lo è il sistema che opprime e massacra migliaia di animali al secondo.
Rira Ciatti
Progetto Vivere Vegan