Il cavallo è fra gli animali più sfruttati dall’essere umano, simbolo dell’ambivalenza violenta dello specismo verso le altre specie. Storia di una conversione antispecista attraverso la relazione con questo splendido animale.
Un articolo sui cavalli me lo sentivo da tempo nelle corde: la seconda tappa del percorso che mi ha portato verso l’antispecismo è stata la rinuncia a partecipare al Palio della mia città, Siena, alla vita di contrada, sapendo che sarei rimasta tagliata fuori dalla vita cittadina che ruota 365 giorni all’anno intorno a questa tradizione, per la morte e la sofferenza che i cavalli vi incontravano allora e vi incontrano anche adesso.
Mi rendo conto che il passaggio nella mia vita è stato epocale ma non radicale: non ho trovato niente di strano nel continuare a montare a cavallo nei maneggi per molti altri anni, segno che non rifiutavo il diritto dell’essere umano a sfruttare questo meraviglioso animale ma rifiutavo solo la sua morte nella Piazza del Campo. Per arrivare a questa consapevolezza ho dovuto aspettare altro tempo e fare tante altre riflessioni, passare attraverso l’incontro con un altro stupendo animale, il cane, per capire finalmente che gli animali sono Persone e come tali vanno trattati.
Ma andiamo per gradi, nelle tappe del mio percorso attraverso l’incontro con questo animale.
Nei maneggi
Da bambina mi portarono a un maneggio, mi fecero montare su una povera cavalla sfruttata all’uopo da anni, Stella, e ricordo ancora la sensazione di forza e potenza che ho provato nel passeggiare sulla sua groppa. Tutti intorno a me davano per scontato che Stella fosse nata per questo e non per vivere la sua vita in maniera specie-specifica. Da allora è nata una sorta di fissazione per i cavalli di cui adoravo anche l’odore, ma ne amavo soprattutto l’utilizzo che potevo farne per me stessa. Ero immersa nella convinzione specista che i cavalli erano lì per me, per i miei bisogni, per le mie necessità e il mio diletto.
La mia famiglia decise che l’equitazione era uno sport troppo costoso, eravamo negli anni 70 dello scorso secolo, così si chiuse questa prima parentesi dell’incontro con questo animale e non andai più nei maneggi.
Simbolicamente il cavallo rappresenta l’inconscio e la sua forza istintiva, la sua energia libidica che è energia di desiderio. Domare un cavallo nei sogni sta a significare che siamo diventati padroni dei nostri impulsi, che abbiamo imparato a dirigerli dove vogliamo noi e che li abbiamo integrati nella nostra psiche. Forse questo simbolismo ha guidato l’essere umano verso l’utilizzo a tutto tondo di questo animale.
Gli usi del cavallo
Per il fatto di averlo domato e sottomesso l’essere umano ha avuto un “mezzo di trasporto” per la maggior parte della sua storia. Non solo: il cavallo è stato anche sfruttato per i lavori agricoli e per l’alimentazione, ovviamente quando non serviva più per altri scopi. Attualmente, come ci racconta l’associazione Italian Horse Protection, nata per tutelare i cavalli e promuovere una cultura di conoscenza e rispetto per questo animale, il cavallo è utilizzato in tutta la filiera di sfruttamento: nello sport (ippica), nel divertimento, nei trasporti, nei lavori pesanti, nell’industria della carne e della sperimentazione animale.
Proprio il simbolo del nostro inconscio e della nostra forza interiore è soggetto al più pesante e onnipervasivo giogo specista.
Ma il cavallo chi è realmente?
Natura del cavallo
A Siena si suol dire che il cavallo è nato per correre e che se si riesce a mettere in sicurezza la pista della Piazza del Campo, dove si corre il Palio, non ci sarebbe più traccia di violenza su questo animale da parte della città.
Ma è davvero così?
Sonny Richichi, presidente di Italian Horse Protection, afferma che in realtà il cavallo è una preda ed è adatto alla corsa proprio per fuggire dal predatore e non certo per correre negli ippodromi. Praticamente “nella stragrande maggioranza dei casi, il cavallo vive una vita innaturale, possibile fonte di danni fisici e soprattutto comportamentali anche gravi. Un cavallo che vive ventitré ore al giorno chiuso in un box non ha la possibilità di fare tutte le cose che farebbe per natura: pascolare, socializzare con i simili, muoversi in grandi spazi ecc…”.
In quanto preda il cavallo vive in branchi e quindi ama socializzare con i propri simili con cui ha stabilito regole di comunicazione specie-specifiche, ama i grandi spazi che permettono una visione a 360° del territorio per poter avvistare in tempo l’arrivo del temibile predatore. Inoltre passa la maggior parte del tempo a pascolare l’erba, non certo a correre in tondo come un forsennato, tutto ciò non avrebbe senso in termini di dispendio energetico e sul piano di costi e benefici. Insomma non ci sarebbero benefici, solo costi. I benefici si hanno solo per fuggire da un predatore, non per arrivare primo in una gara.
Il peggior predatore
Ancora una volta l’essere umano si dimostra il predatore peggiore: arriva da “amico”, senza zanne e artigli, e condanna il cavallo a una morte spirituale lenta e agonizzante. Chiuso in un box, costretto a correre per il nostro ludibrio, a trascinare pesanti carrozze per le città d’arte, ucciso alla fine del possibile utilizzo in un macello il cavallo rappresenta la violenza specista, quella che uccide l’anima prima del corpo.
Il cavallo ha accompagnato il mio percorso verso l’antispecismo: esso è stato la mia guida e il mio saggio consigliere. Lunga vita a questo superbo animale che popola di forza e fierezza i nostri sogni migliori.
Francesca Decandia
Progetto Vivere Vegan