Il caso Hvaldimir: un documentario girato e prodotto in Norvegia per raccontare la storia di un beluga, forse sfruttato dai russi per scopi bellici, ci fa riflettere sul perché non sempre purtroppo la libertà per un animale che ha avuto un imprinting è l’unica scelta da fare.
Perché la storia di Hvaldimir e il documentario che la racconta sono importanti per tutti gli animali
Non sempre le cose sono semplici e lineari come vorremmo, soprattutto quando abbiamo a che fare con gli animali privati della loro libertà. Il caso di Hvaldimir, il beluga noto come “spia dei russi” (anche se ciò non è stato mai provato in modo inequivocabile) è esemplare da questo punto di vista.
Probabilmente la storia la conoscete ormai tutti: nel 2019 un beluga addomesticato fu trovato in un fiordo norvegese con indosso un’imbracatura che portava la scritta “attrezzatura di San Pietroburgo”. Dopo essere stato liberato dall’imbracatura, il cetaceo fu lasciato andare, ma sorprendentemente pochi giorni dopo si fece vivo di nuovo. Da quel momento Hvaldimir (così è stato chiamato con riferimento al presidente russo Putin) è sempre rimasto in zona, monitorato da un gruppo di attivisti che cercano di proteggerlo da eventuali incidenti.
Il pericolo della vicinanza con gli esseri umani
La storia degli animali, infatti, è piena di casi in cui l’eccessiva vicinanza e confidenza con l’essere umano ha portato alla morte dell’esemplare e, per quanto riguarda i cetacei marini, le dinamiche si assomigliano quasi tutte: avvicinamento alle barche e probabile cattura o uccisione da parte dei pescatori. L’orca Luna e il delfino Moko sono solo gli esempi più famosi al riguardo, ma si potrebbero citare decine di storie. Ora, è chiaro che questo non significa che ogni animale confidente deve per forza finire rinchiuso, ma è lecito chiedersi quando la libertà può costituire un pericolo.
Il documentario
Il documentario A Tale Of Whale – Hvaldimirs Journey in Norwey (Storia di una balena- Il viaggio di Hvaldimir in Norvegia), prodotto da Orca Chanell e diretto da Krisztina Balotay, con i sottotitoli in italiano a cura di Progetto Vivere Vegan, affronta proprio questo problema. Naturalmente non c’è una risposta sicura, ogni scelta ha i suoi lati negativi. Di certo c’è soltanto il fatto che Hvaldimir avrebbe avuto diritto a una vita libera e invece qualcuno, a San Pietroburgo, ha pensato di negargliela.
Nei giorni scorsi l’ipotesi che si fosse sul punto di costruire in Norvegia un Santuario per cetacei dove ospitare Hvaldimir, ha fatto il giro delle testate internazionali, anche se attivisti norvegesi (con cui ho parlato direttamente) sostengono che non solo l’autorità norvegese non ha approvato alcun Santuario (come invece riportato dal The Guardian), ma che anzi, è quasi sicuro che non lo approveranno mai. Al netto di cosa abbia o non abbia approvato il governo norvegese comunque, resta il fatto che Hvaldimir si trova nella posizione in cui si trovano molti animali, una volta ricevuto un imprinting umano: da una parte sono attratti dagli esseri umani, dall’altra rischiano che alcuni di questi ultimi decidano di ucciderli.
Vale per un beluga, così come per tanti animali che vivono alle nostre latitudini. Che ne sarà di Hvaldimir? Non è possibile prevederlo. La speranza è che riesca in qualche modo a cavarsela e, se possibile, a liberarsi di noi.
Francesco Cortonesi
Progetto Vivere Vegan