Che vuol dire cambiare abitudini? Cosa fare quando, pur volendolo, non riusciamo a cambiare? Il cambiamento richiede un atto di consapevolezza che coinvolge tutto il nostro essere. In questo articolo le neuroscienze ci aiutano a conoscere meglio le diverse funzioni del cervello, i concetti di coscienza e integrazione neuronale. Realizziamo che l’uomo spesso fa l’errore di attribuire troppo valore alla ragione, a scapito delle emozioni e degli istinti. Il cervello perde di coerenza e noi umani ci allontaniamo dal regno animale, attuando comportamenti distruttivi che è difficile modificare. La mindfulness offre una soluzione sostenendo la consapevolezza ed uno sguardo amorevole verso noi stessi, verso gli animali e la terra.
Psicologia e cambiamento
Lavorando come psicoterapeuta, incontro persone che sono in una fase di passaggio e che vogliono cambiare: cambiare vita, cambiare carattere, cambiare il partner, la casa o l’impiego. Il mio lavoro mi mette a confronto con una domanda da un milione di dollari: come si fa a cambiare? Noi vorremmo cambiare per incarnare la versione migliore di noi stessi: un Eden abitato da emozioni positive in cui vivere in salute e nel benessere. Amorevolezza e benevolenza possono trovare spazio dentro di noi e fuori di noi, nei rapporti con i nostri simili, ma anche con gli animali e con tutto il pianeta Terra.
Il cambiamento però non è cosa facile da realizzare e dobbiamo ammettere che il mondo è tutt’altro che un Eden. Più spesso dentro di noi hanno la meglio le emozioni negative e a livello sociale prevale la sopraffazione di chi è più debole e indifeso. Il principio della gerarchia di dominanza caratterizza sia i rapporti umani che l’atteggiamento dell’uomo nei confronti degli altri animali (da schiavizzare) e della Terra (da sfruttare).
Colonialismo, razzismo, sessismo e specismo sono frutto della stessa forma mentis. A fronte di ciò, assistiamo ad una voglia di cambiamento, che sempre più dà vita a movimenti ambientalisti ed ecologisti, motivando le persone a vivere negli ecovillaggi, a diventare vegani, a mettere in discussione quelle che possono sembrare abitudini indiscutibili (come consumare benzina, produrre plastica o mangiare carne) a favore della salute di tutto l’ecosistema.
Neuroscienze: la teoria dei tre cervelli
Qui torniamo alla domanda di partenza: per diventare persone migliori, per vivere in un mondo migliore, dobbiamo cambiare, ma come si fa a cambiare? Dopo tanti anni di lavoro mi sono fatta l’idea che il cambiamento non sia frutto della volontà dell’uomo, ma della sua coscienza. Detto in altre parole, le belle qualità che vorremmo incarnare non provengono tanto dalla ragione, quanto piuttosto dal cuore. Questo ragionamento di senso comune ha anche un fondamento scientifico, fornito dalla neuroscienze. Studiando la teoria del cervello trino, che MacLean [1] ha esposto nel 1973, scopriamo che il cervello si compone di tre strutture interrelate, che rispecchiano lo sviluppo filogenetico della vita sulla Terra.
La neocorteccia
La neocorteccia è il cervello più giovane, quello che caratterizza la specie umana: sono cellule nervose (i neuroni) i cui corpi cellulari ricoprono la superficie degli emisferi cerebrali, la cui funzione caratterizza le qualità che ci contraddistinguono dagli altri animali.
La neocorteccia è la sede del ragionamento logico astratto, che permette a noi uomini di pensare al passato e al futuro, prevedere le conseguenze del comportamento, pianificare le azioni, servirci dei simboli che danno vita alle opere d’arte e alle parole con cui pensiamo e parliamo.
L’uomo ha portato al massimo sviluppo il ragionamento, il linguaggio, l’arte e la scienza. Gli altri animali posseggono in parte queste competenze (come sa chiunque viva con un cane o con un gatto), ma la loro neocorteccia è molto più sottile rispetto a quella umana. Le differenze tra noi e gi altri animali però rischiano di essere sovrastimate se pensiamo che il nostro cervello si esaurisca con la neocorteccia.
Il cervello limbico
In realtà, il sistema nervoso è molto più ricco e complesso. Al di sotto della superficie dei due emisferi cerebrali, altri nuclei cellulari si addensano a formare il cervello limbico, una struttura filogeneticamente più antica, che noi umani condividiamo con gli altri mammiferi. Il cervello limbico è la sede delle emozioni.
Come già Charles Darwin [2] ci spiegava alla fine del 1800, tutti i primati provano le stesse emozioni primarie (sorpresa, paura, disgusto, rabbia, felicità e tristezza), di cui la natura ci ha fornito per adattarci all’ambiente. Il cervello limbico è anche la sede dell’amorevolezza che caratterizza il sistema di attaccamento, quel legame profondo che unisce la mamma ai suoi cuccioli.
Noi umani siamo come tutti i mammiferi: quando guardiamo i nostri piccoli proviamo un amore immenso, complici una serie di ormoni che la natura ha previsto per far sì che ci prendessimo cura di loro. Il cervello limbico garantisce la sopravvivenza delle specie e costituisce la base comune tra noi e i mammiferi. Siamo tutti animali bisognosi di cure e capaci di fornire cure.
Questa comunanza spiega il fatto che tra noi e i nostri animali domestici si sviluppa un legame di attaccamento simile a quello che sentiamo verso i nostri figli [3]. In base a un tale legame, è per noi naturale riconoscere che il nostro cane è un essere emotivo, che gioisce quando sta con noi e soffre se viene separato troppo a lungo da noi.
La base biologica comune del cervello limbico ci può far fare anche un passo in più in direzione dell’empatia e della compassione: la scienza ci dice che le emozioni che attribuiamo al nostro animale domestico sono proprie di tutti i mammiferi. Ogni cucciolo piange inconsolabile se viene separato dalla mamma. Possiamo sentire queste emozioni come fossero le nostre, possiamo provare compassione per tutti gli esseri viventi se andiamo più in profondità rispetto alle astrazioni della neocorteccia per connetterci con l’amorevolezza propria del cervello limbico.
Il cervello rettile
Il nostro cervello prevede anche una parte ancora più antica, paragonabile al cervello di un rettile: il cervello rettile è collocato nella parte bassa del cranio (il tronco encefalico) per garantire tutte le funzioni vitali necessarie all’autoconservazione, come il battito cardiaco, la respirazione, la digestione, la regolazione della temperatura. Il cervello rettile si attiva in base a schemi istintivi precostituiti e nei casi in cui siamo a rischio della vita, generando delle risposte di attacco-fuga (fight-fly), che ci permettono di sopravvivere perchè sono molto rapide. Sono risposte veloci in quanto automatiche e pre-cognitive (in termini tecnici si dice protomentali), che non coinvolgono la neocorteccia, la quale ha bisogno di più tempo per ragionare su qual è la scelta migliore da prendere. Il cervello rettile ci insegna che la maggior parte delle attività umane avvengono al di là della nostra consapevolezza, in modo automatico e involontario.
Gli ostacoli al cambimento: mancanza di integrazione e dominanza
L’ aspetto automatico del comportamento umano ci rimanda al nostro questito di partenza: se controlliamo così poco le nostre azioni, come facciamo a cambiare? Come sa bene chiunque abbia mai avuto una dipendenza, cambiare è difficile. Anche le migliori intenzioni falliscono se la spinta al cambiamento viene dalla sola ragione.
Ci imponiamo di cambiare un’abitudine, ci sforziamo di aderire ad un ideale astratto, ma è come se il nostro comportamento non rispondesse a quello che vorremmo e dovremmo fare: la ragione e il sentimento non comunicano. Segniamo sul calendario che domani iniziamo la dieta, ma il giorno dopo ce ne dimentichiamo. In termini psicologici parliamo di una scissione, come se la parte di noi che vuole dimagrire non comunicasse con la parte di noi che vuole mangiare un piatto abbandondante di spaghetti. In termini neurologici, parliamo di carenza di integrazione neuronale. La mancata coesione ostacola la consapevolezza e impedisce il cambiamento.
Spesso la scarsa coesione dipende dalla dominanza neuronale della neocorteccia, la quale vuole fare da padrona, controllando le emozioni e assoggettando gli istinti, che ci ricordano la nostra animalità. L’uomo si è evoluto puntando tutto sulla neocorteccia, che apparentemente lo rende un animale più intelligente degli altri. Appellandosi alle sue raffinate competenze, l’uomo si arroga il diritto di assoggettare gli altri animali e tutta la Terra.
Ma il predominio della ragione neocorticale va a scapito dei cervelli limbico e rettiliano, che ci ricordano che anche noi siamo animali figli della terra. Lontani dalla nostra natura, separati dall’abbraccio della madre terra, mettiamo in atto comportamenti autodistruttivi che inquinano il nostro ambiente di vita, fino quasi a renderlo incompatibile con la nostra stessa sopravvivenza.
Il cambiamento possibile: la mindfulness
Cambiare questi comportamenti è possibile, perchè il cervello è in realtà un sistema duttile, dotato di una neuroplasticità che lo rende estremamente ricettivo alle novità. Ma il cambiamento può venire solo dalla coscienza. Il nostro discorso ci porta in un campo ancora più delicato: cosa è la coscienza? La coscienza non è riconducibile a un oggetto anatomico o ad un preciso centro nervoso, ma è un processo dinamico emergente dal funzionamento globale complessivo di tutto il cervello, come spiega il biologo Gerald Maurice Edelman [4].
Il cambiamento è possibile se il cervello lavora come un tutto integrato, in cui le diverse funzioni si coordinano e compenetrano: la ragione (la neocorteccia), il sentimento (il cervello limbico) e l’istintualità (il cervello rettile) possono andare d’accordo.
Secondo il neuroscienziato Daniele Siegel [5], è possibile favorire l’integrazione neuronale grazie alla pratica della mindfulness: esercitando la consapevolezza, portiamo attenzione al momento presente per osservare e conoscere noi stessi negli automatismi e nelle abitudini che tutti abbiamo. Questo processo ha dei grandi benefici per la nostra salute, ma anche per la salute del pianeta.
Superando una visione gerarchica del cervello, aprendo il nostro cuore alle emozioni e alle sensazioni fisiche, abbracciando l’animale che è in noi, finalmente sentiamo di amare tutti gli esseri viventi e riscopriamo un senso profondo di connessione con la Natura. Quando questo succede non c’è bisogno di imporci di non mangiare carne o di consumare meno plastica, ma tutti questi comportamenti virtuosi ci vengono spontanei, in quanto coerenti con la nostra vera natura, che è improntata all’amore e alla fratellanza.
Tiziana Franceschini
Progetto Vivere Vegan
[1] Paul MacLean (1984), Evoluzione del cervello e comportamento umano, Einaudi.
[2] Charles Darwin (1872), L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali, Bollati Boringhieri, 2012.
[3] Topál, Miklósi, Csányi, Dóka (1998), Attachment behavior in dogs (Canis familiaris): a new application of Ainsworth’s Strange Situation Test, in “Journal of Comparative Psychology”, n.112(3), 219.
[4] Gerald M. Edelman (2004), Piu grande del cielo, Einaudi.
[5] Daniel J Siegel (2009), Mindfulness e cervello, Raffaello Cortina Editore.