L’impegno e la passione per i diritti animali, rischiano di invisibilizzare alcuni effetti negativi per la salute psicofisica dell’attivista. Accumulo di stress, esposizione a situazioni dolorose e traumatizzanti e l’interazione tra questi due fattori, possono causare sindrome da burnout, di affaticamento empatico fino al disturbo post traumatico da stress. In questo articolo ci concentreremo sull burnout per capire cos’è e quali pericoli possa comportare per l’attivista e per l’attivismo.
Cos’è il Burnout
Con il termine burnout, la cui traduzione è “logorio” “esaurimento” “surriscaldamento”, si indica solitamente una condizione psicofisica causata dall’accumulo e dalla cattiva gestione di forte stress, con il rischio di arrivare ad avere importanti ripercussioni sia in ambito lavorativo che in ambito personale.
Secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) è un fenomeno tipico dell’attività lavorativa dovuto a “stress cronico sul posto di lavoro che non è stato gestito con successo” e, così come indicato nell’ICD-11(1) (la Classificazione Internazionale delle Malattie), è caratterizzato da tre dimensioni:
- Sensazioni di estrema fatica fisica e/o mentale o esaurimento energetico;
- Sensazione di distanza mentale dal proprio lavoro o sentimenti di negativismo o cinismo legati al proprio lavoro;
- Ridotta efficacia professionale.
Inizialmente individuato e studiato tra i professionisti impegnati nelle cosiddette professioni d’aiuto, quali lavori sanitari ed assistenziali (psicologi, infermieri, medici, operatori sociali).
Si è poi riscontrato in qualsiasi contesto lavorativo con condizioni stressanti e performanti.
Le cause del burnout sono individuabili sia in problematiche organizzative che in problematiche relazionali sul posto di lavoro. Ad esempio il sovraccarico di lavoro è un elemento che può portare a situazioni di burnout, così come il senso di impotenza rispetto agli esiti della propria attività, la mancanza di controllo sulle azioni che si mettono in campo, l’assenza di equità rispetto ai carichi di lavoro, l’esistenza di valori contrastanti e situazioni di conflitto nel contesto lavorativo o anche l’identificazione, come nel caso delle professioni di aiuto, con la persona accudita.
Pur essendo riconosciuta come condizione in ambito lavorativo, la sindrome da burnout è stata riscontrata anche in altri ambiti, uno tra tutti quello dell’attivismo.
Il Burnout nell’attivismo
Paul Gorsky, un ricercatore della George Mason University, si è occupato in maniera specifica del tema burnout nell’attivismo, e raggruppa in tre ambiti principali le cause di burnout:
- Aspetti personali: quali investimento emotivo, comprensione e valutazione dei rischi rispetto alle energie messe in campo, conoscenza e valutazione dell’oppressione strutturale;
- Aspetti esterni: resistenza, portata dell’ingiustizia, problematiche finanziarie,
l’essere vittime di scherno e disprezzo, il rischio di criminalizzazione, con conseguenti problemi legali e rischio di arresto, l’essere vittime di violenza; - Aspetti legati ai “movimenti”: bigottismo e/o discriminazione all’interno dei movimenti (quali sessismo, razzismo, eteronormatività), la cultura del martirio (secondo la quale se non si lotta fino allo stremo non si è lottato abbastanza, con conseguente silenziamento di chi prova ad avanzare l’argomento del benessere dell’attivista), la competizione per il riconoscimento.(2)
Burnout e attivismo per i diritti animali
In uno studio specifico l’autore analizza queste tre macrocategorie proprio nell’ambito dell’attivismo animalista.(3)
Aspetti personali
L’impegno per i diritti animali è spesso indirizzato a combattere ingiustizie e sofferenze su larga scala e legate ad una oppressione strutturale insita nella società. L’ampiezza di questi obiettivi hanno un forte impatto emotivo che può causare esaurimento emotivo e vissuto di impotenza, precursori del burnout.(4)
È stato inoltre rilevato che il profondo senso di responsabilità e di empatia verso gli animali comporta un continuo stato di iper-consapevolezza che accompagna quotidianamente
l’attivista ed un vissuto costante di colpa e di frustrazione rispetto alla lentezza dei cambiamenti che avvengono rispetto ai propri obiettivi.(5)
Aspetti esterni
In questa seconda categoria, la ricerca di Gorsky si indirizza allo stress legato alla sfida lanciata verso le grandi aziende e contro un sistema legislativo che favorisce lo sfruttamento e la messa a morte degli animali non umani.
A questi obiettivi si collegano quindi i rischi di ritorsioni legali da parte delle aziende così come li tentativi di repressione giuridica.
A ciò si può aggiunge anche un punto importante, l’attivismo è solitamente su base volontaria e richiede un dispendio di energie e di attenzioni che spesso non sono compatibili con gli impegni della vita quotidiana, siano essi di tipo personale (i rapporti familiari ed amicali) siano essi di tipo lavorativo (la necessità di lavorare per avere uno stipendio può essere vissuto come un ostacolo e come una sottrazione di tempo e risorse al proprio attivismo).
Cause interne al movimento
A questo livello si possono collegare le lotte intestine tra i vari gruppi impegnati sul tema della liberazione animale, così come le incomprensioni tra attivisti all’interno della stessa organizzazione, con scontri sui punti di vista, sugli obiettivi migliori e necessari da raggiungere, sull’impostazione migliore da tenere e sulla cosiddetta cultura del martirio, cui già si è accennato prima, “in cui il burnout è considerato un indicatore di impegno”(6) più che una situazione da evitare.
Un ulteriore problema è quello legato a diseguaglianze di genere, di razza, di classe. Il mondo della liberazione animale, come in generale tutti i movimenti sociali, vive spesso di un processo di idealizzazione romantica secondo la quale i propri spazi di azione politica sono liberi dalle problematiche di sessismo, razzismo, classismo.
“La persistenza di sessismo, razzismo e altre oppressioni è invece ben documentata sia negli studi sulle esperienze degli attivisti per i diritti animali, sia negli scritti di attivisti vittime di marginalizzazione a causa della loro identità”(7) con profondi effetti sullo stato di salute psicofisica delle persone marginalizzate.
Effetti del burnout
Gli effetti del burnout sono generalmente classificabili in effetti sulla persona ed effetti strutturali.
I rischi per l’attivista sono quelli di vivere sentimenti ed emozioni di ansia, rabbia, isolamento perdita di motivazione ed interesse. In generale si vive un senso di affaticamento con decadimento delle forze fisiche e psichiche fino al rischio di problemi del sonno, alcolismo e di più gravi disturbi psicologici.
Il rischio per il movimento è invece quello di veder vanificati i propri sforzi, di vivere un continuo turnover dei partecipanti, di perdere di incisività fino al rischio di dissoluzione del gruppo.
“La natura dirompente del burnout degli attivisti ha portato alcuni studiosi a sostenere che è tra i le maggiori minacce alla stabilità di un movimento sociale” (Paul Gorski, Stacy Lopresti-Goodman & Dallas Rising – 2018).
Soluzioni
Per poter contrastare quindi gli effetti distruttivi del burnout c’è la necessità di interventi sia
strutturali che individuali.
I gruppi, le organizzazioni, le associazioni impegnate nel lavoro di promozione e difesa dei diritti animali devono assolutamente prendere in considerazione il benessere dei propri attivisti.
Sarebbe utile fornire e prevedere degli spazi di discussione dove poter affrontare questi temi, facendosi carico in maniera collettiva del burnout dei propri associati.
Bisogna riuscire a mettersi in discussione ed essere capaci di riorganizzarsi quando viene evidenziato un problema che si esprime nel singolo ma che coinvolge la struttura.
L’adozione di un ambiente comunicativo e non competitivo, la promozione del dialogo, il supporto sono azioni che possono permettere di prevenire e di gestire al meglio gli effetti negativi del burnout, su tutti e tre i macrolivelli prima evidenziati.
Dal punto di vista individuale le azioni da mettere in campo sono molteplici, ma una su tutte permette di poter intervenire efficacemente: l’ascolto di se stessi.
L’attivismo, come abbiamo evidenziato, è una attività rivolta verso l’esterno, verso ideali molto grandi ed importanti; il rischio è che questo sguardo perennemente rivolto verso l’esterno non ci permetta di tenere in giusta considerazione tutta una serie di segnali che corpo e mente ci inviano e che evidenziano il raggiungimento ed il rischio di superamento di un limite oltre il quale si cade in un importante esaurimento fisico ed emotivo.
È molto importante impegnarsi in attività che permettano la gestione dello stress e dei suoi effetti negativi, quali la meditazione o lo yoga.
Si deve poi prendere in considerazione la possibilità di richiedere un aiuto ed un sostegno psicologico che permetta di elaborare quegli elementi che ci hanno condotto allo stato di malessere.
Come scrive in un suo articolo Pattrice Jones, educatrice, attivista ecofemminista e co-fondatrice di VINE Sanctuary a Springfield, nel Vermont, un santuario di animali gestito da soggettività LGBTQ: “Spesso, le/gli attivist* esitano a parlare dei propri sentimenti – o anche a pensarci – perché la sofferenza degli altri animali è, a confronto, molto più grande. I motivi di questa auto-repressione sono altruistici, ma i risultati possono essere controproducenti”.(8-9)
Bisogna essere in grado di raggiungere un giusto bilanciamento tra attivismo e vita privata, bisogna riuscire a fermarsi senza vivere sensi di colpa per potersi ricaricare ed essere così veramente utili alla causa della liberazione animale.
Vorrei concludere con le parole di una fondamentale scrittrice, femminista, donna,
bibliotecaria e attivista per i diritti civili Audre Lorde:
“Prendersi cura di se stessi non è indulgenza verso se stessi, non è egoismo, è
autoconservazione, e questo è un gesto di azione politica”.
Andrea Baffa Scirocco
Progetto Vivere Vegan