Intervista a Nicola Campomorto, una delle figure più rappresentative dell’antibracconaggio italiano. Ci ha raccontato molte cose, per meglio capire come funziona l’attivismo di chi lotta contro i bracconieri.
In Italia il bracconaggio, purtroppo, è ancora molto diffuso, e nelle regioni meridionali, a causa della scarsità di controlli, si registrano i numeri più alti. In alcune zone del nostro Paese è talmente radicato che è possibile disegnare una vera e propria mappa delle zone calde, chiamate “hot spots”. Ognuna di queste zone, nel tempo, ha sviluppato una specializzazione di morte. Si uccide un gran numero di determinati animali, semplicemente per andare incontro alle tradizioni locali. Il bracconaggio, lo dicono i dati, è per lo più praticato da cacciatori che non disdegnano infrangere la legge. E comunque una cosa è certa: cacciatori e bracconieri uccidono animali. Se la differenza tra i due è quindi solo nel rispetto o nel non rispetto della legge, è comprensibile che agli animali non interessi granché. E noi siamo dalla parte degli animali.
Ciao Nicola, puoi dirci in cosa consiste il tuo lavoro?
Il mio è volontariato, ho scelto di salvaguardare gli animali dando una piccola priorità alla fauna selvatica poiché credo sia meno conosciuta e quindi meno seguita nel mondo del volontariato.
Il bracconaggio ancora oggi è una pratica molto diffusa. A che punto siamo con la lotta a questa pratica?
Purtroppo si, ancora diffusa ma meno rispetto a 20/30 anni fa. A mio parere, nuove leggi e regolamenti comunitari sono necessari per arginare una parte del bracconaggio, che in alcuni casi si è ridotto, in altri si è evoluto. Attualmente il quadro sanzionatorio è obsoleto, le somme da pagare e le pene sono irrisorie rispetto agli introiti derivanti dal commercio di fauna. Nel 2017, a seguito di una procedura europea con cui la Commissione richiedeva all’Italia un serio contrasto al fenomeno dell’uccisione e commercio di specie protette, un altro passo è stato fatto con la creazione di un piano d’azione nazionale per il contrasto degli illeciti contro gli uccelli selvatici, che ha mappato il territorio e creato dei black spot del bracconaggio.
Quali sono gli animali più soggetti al bracconaggio?
Se consideriamo tutto il territorio nazionale, non escludo nessuna specie. Al nord alle specie cacciabili si aggiungono pettirossi, capinere, fringillidi, alaudidi ai fini culinari. Al centro, almeno dagli scambi d’informazioni, sembrano più indirizzati verso gli ungulati, cinghiali cervi, daini, ma senza escludere l’avifauna in genere. Al sud direi fringillidi tra cui il cardellino, da decenni catturato e detenuto in piccole gabbie per allietare, con il loro canto, le giornate di questi trogloditi. Caserta poi, mio territorio, ha un’antica tradizione anche per il bracconaggio agli anatidi. Si tratta di caccia notturna con l’ausilio di richiami acustici vietati e di anatre legate sull’acqua.
Caccia e bracconaggio sembrano due facce della stessa medaglia. Molti cacciatori si difendono dicendo che i bracconieri stanno nell’illegalità, mentre loro no. Questi cacciatori sembrano non considerare minimamente gli animali che vengono uccisi, anche nel rispetto delle leggi. Proviamo a chiarirlo una volta per tutte con i dati alla mano: che tipi sono, generalmente i bracconieri?
I dati sono evidenti, per il biennio 2019-20 poco oltre il 75% dei reati di bracconaggio è stato commesso da cacciatori, ossia da soggetti con regolare porto d’armi, il resto da bracconieri conosciuti. Gli ignoti sono solo una minima parte. La percentuale di cacciatori è comunque in calo rispetto agli anni precedenti, quando si arrivava all’80% dei reati attribuibili a detentori di porto d’armi (dati rapporto CABS).
Il bracconaggio ha anche una matrice “culturale”, in certe zone d’Italia è quasi una tradizione. Cosa stiamo facendo, culturalmente parlando, per superare questo triste retaggio del passato?
Le azioni dei volontari non sono solo di tipo repressivo, in collaborazione con le forze dell’ordine, ma anche di sensibilizzazione. Vengono organizzate giornate con le scuole al fine di dimostrare che la caccia è qualcosa di anacronistico e di eticamente scorretto. Difficile scardinare anni di cultura venatoria, ma voglio immaginare un mondo un po’ migliore per la biodiversità. Siamo così ricchi di endemismi e specie rare eppure quello che sappiamo fare è puntare un fucile e premere il grilletto.
Quali sono attualmente le campagne antibracconaggio in Italia?
Operazione Pettirosso, sicuramente è la più tosta e quella che mi viene subito in mente. Si svolge nel bresciano e territori limitrofi. Per un mese circa ci si sveglia prima dell’alba o a notte fonda e si va in giro, su target già conosciuti o punti potenzialmente idonei, alla ricerca di Sep, trappole a scatto, archetti e reti da uccellagione. Decine di volontari, insieme ai locali carabinieri forestali e all’immancabile personale del SOARDA, perlustrano le valli e i capanni, denunciando decine di bracconieri. Un’esperienza da fare, anzi, approfitto del vostro blog per reclutare volontari che possono contattare il Cabs o magari direttamente te, Francesco, che poi sai a chi indirizzarli. In Campania abbiamo concluso pochi mesi fa “Vedi Napoli e poi… vola” un’operazione di contrasto ai reati di uccellagione e commercio di fringillidi e “volo libero” seguito della mitica operazione della Lipu, dove partecipò il capitano Ultimo.
Malta, Cipro, altri luoghi in cui gli attivisti italiani stanno facendo un gran lavoro. Come stanno andando in quelle zone le cose?
Malta, per la sua posizione geografica è una tappa spesso obbligatoria per il popolo migratore. Purtroppo Malta, con 35 cacciatori per km quadrato, vanta il primato mondiale in quanto a densità venatoria. E dove non ci sono incolti o terreni liberi, vengono installati impianti di uccellagione. Un quadro gravissimo che dal 2001 vede il CABS impegnato in HYPERLINK “https://www.komitee.de/it/campagne/malta/i-nostri-campi-antibracconaggio/” campi di protezione. I volontari presidiano importanti aree di sosta e di transito, controllano le zone di caccia e documentano gli abbattimenti illegali e l’uccellagione. Dal 2014 il Cabs ha un dipendente stabile a Malta che coordina le operazioni, segue i processi contro i bracconieri e organizza il controllo del territorio anche quando i campi di protezione non sono attivi. Ma c’è ancora tanto da fare. Cipro è il caso più problematico in Europa. L’isola è disseminata di trappole per l’avifauna. La parte occupata dai greci è la peggiore, con un numero spropositato di bracconieri e cacciatori, ma recentemente il CABS ha scoperto casi di trappolaggio anche nel nord occupato militarmente, da decenni, dalla Turchia. Nonostante l’adesione all’Unione Europea, la politica locale è connivente, i bracconieri non si preoccupano nemmeno di occultare per bene i loro impianti illeciti di cattura, perché gran parte della popolazione è collusa o comunque insensibile, mentre le autorità e le forze di polizia, decisamente poco attive, non manifestano una vera volontà di combattere il bracconaggio. Potremmo poi parlare della Francia, della sua tradizione di affogare gli Ortolani (uccellini di circa 15 cm n.d.r) nell’armagnac o dei parany spagnoli (strutture illegali inserite tra gli alberi che ogni anno uccidono migliaia di uccelli n.d.r.)…
Puoi raccontarmi una giornata tipo dell’antibracconaggio?
In base al tipo di operazione da fare, scegliamo un orario, che solitamente è notturno. A quel punto vengono effettuati dei sopralluoghi per capire dove appostarci, da dove entrare. Se parliamo di sorprendere i bracconieri negli appostamenti per la caccia alle anatre, si esce verso le 3:30, si parcheggia l’auto a un km dall’appostamento e si fa un po’ di ascolto per sentire i richiami acustici. Se c’è presenza di richiami ci s’incammina lungo i terreni fino a raggiungere il “postino” ossia l’appostamento. Il tutto con la complicità delle tenebre. Se invece bisogna sorprendere degli uccellatori con le reti, una squadra va prima dell’alba e si apposta in attesa del bracconiere mentre una seconda squadra parte dopo l’alba. Lo scopo è chiudere tutte le vie di fuga e dare il tempo all’uccellatore di montare l’impianto. Purtroppo, per poter intervenire, è necessario fermarlo mentre cattura i primi uccelli. Ci sono poi uscite per i controlli sulla caccia e sulla pesca, svolti sia di mattina che di pomeriggio.
Quali sono le doti necessarie per partecipare a un campo antibracconaggio?
Passione, tanta. Poi c’è la consapevolezza di fare qualcosa di veramente utile per l’ambiente e gli animali. Tanti sacrifici, le levatacce, le ore passate immobili tra la vegetazione in attesa dei bracconieri, le corse per cercare di non farli scappare, la pioggia, il vento. Ma quando poi ti ritrovi le mani occupate dalle gabbie con dentro gli uccelli salvati, dimentichi tutto. Dovrebbero farla tutti questa esperienza, e la natura ha bisogno di volontari. E poi s’impara tanto e si conoscono persone fantastiche, come te!
Grazie Nicola, ma sei tu il vero maestro! Riprendiamo l’intervista: quanti animali si riescono a salvare, mediamente, durante un campo?
Migliaia sicuramente. Nell’operazione Pettirosso del 2020 siamo riusciti a salvare circa 800 uccelli, purtroppo oltre mille sono quelli che sono stati trovati morti. Va detto però che sequestrare reti e trappole porta ad un salvataggio reale che è quello degli esemplari catturati fino a quel momento a cui va però aggiunto il potenziale salvataggio degli altri uccelli che transiteranno in quelle aree e che, per fortuna, non troveranno reti.
Una domanda più generica: gli italiani si stanno sensibilizzando maggiormente nei confronti della caccia, oppure c’è ancora molto lavoro da fare?
Bella domanda. Io noto comportamenti agli antipodi. Alcune volte i giovani ti danno l’idea di aver realmente capito la gravità della situazione e cosa possono fare per invertire la rotta. Altre volte sembra ti ascoltino solo perché non possono fare altro e che in realtà non gli importa nulla di tutto questo. Non saprei darti una risposta certa, speriamo solo di lasciare in loro una scintilla che magari un domani diventerà un fuoco “verde”.
Credi che prima o poi la caccia, intendo tutta la caccia, verrà vietata?
Forse si, ma noi non assisteremo a questo evento. Hai idea di quanto si guadagna con un cittadino cacciatore? Prima di tutto le tasse che deve pagare, le armi ed il munizionamento, il vestiario, la benzina per gli spostamenti, svaghi tra bar e ristoranti. Senza contare i vari eventi, sagre e giornate che organizzano a caccia chiusa. C’è ancora strada da fare.
Grazie per l’intervista Nicola.
Francesco Cortonesi
Progetto Vivere Vegan