di Giorgio Mattoschi
lettera tratta da: www.acquabenecomune.org
novembre 2010
Mi sento un fantasma mentre guardo con rabbia e paura le acque del Fiume Tesina invadere ancora una volta i campi di Trambacche. Il livello del Bacchiglione è altissimo, spaventoso.
Questa terra, questa casa, rappresentano il sogno di tutta la mia vita, realizzato con mutuo e grandi sacrifici.
L’alluvione del 1° novembre ha portato via le mie 9 caprette, le mie due asinelle, il pony e quasi tutte le galline che si erano rifugiate sugli alberi. Amici, fratelli, non semplici animali. Ho cercato di salvare i miei animali e ho rischiato di annegare. Era terribile sentire le caprette piangere come bambini mentre le acque vorticose e scure del Bacchiglione se le portava via. In 15 minuti le acque del Bacchiglione sono esondate e hanno coperto tutto sotto 1.70 di acqua.
Non è stato il fiume a uccidere i miei sogni, non è stata la calamità naturale o il fato, ma l’incuria e l’arroganza degli speculatori e dei politici ciechi che preferiscono guadagni immediati al rispetto e al benessere del territorio e dei cittadini.
Non è stato il fiume ad uccidere i sogni di tanta gente ma l’egoismo degli uomini che continuano a trattare la natura e gli animali come oggetti creati per soddisfare la propria sete di ricchezza e di potere.
I terreni allagati 15 giorni fa sono ora coperti da fango inquinato che renderà impossibile coltivarli per almeno due anni .
Sono morti più di 200.000 animali negli allevamenti, più tantissimi animali domestici di privati, più gran parte degli animali selvatici. Una carneficina.
E qual’ è la preoccupazione dei cacciatori? Quella di poter ritornare a cacciare al più presto.
Le alluvioni non si ripetono più a distanza di 20 o 30 anni ma di 15 giorni, un mese, e questo è davvero spaventoso. Se non sarà fatta una politica seria per l’assestamento del territorio dal punto di vista idrogeologico e non solo, sarà molto difficile aver voglia di continuare a lavorare, a vivere e a sognare nelle zone alluvionate. Queste zone rischiano di diventare solo paludi di fango e di disperazione.