Da quando c’è il lockdown abbiamo dovuto imparare a organizzare le rare uscite di casa, le attività “esterne”, abbiamo conosciuto di persona lo smart working, e ora che abbiamo imparato potremmo forse non voler tornare indietro: guardandolo con ottimismo, il coronavirus ci ha regalato la disponibilità di tempo per fare “altro”, in primis goderci, chi li ha, i nostri balconi e i nostri giardini – giardini che fino al 9 marzo avevamo un po’ trascurato per correre dietro a mille cose, di cui 900 inutili, ammettiamolo.
Ricci nutrie piccioni e compagnia, all’arrembaggio!
Da laggiù in fondo, dove sotto ai noccioli tengo un rifugio invernale per i ricci, sbucano i primi che si sono svegliati. Da molti anni utilizziamo solo prodotti biologici anche per combattere le zanzare; non sono infallibili, ma il premio è la presenza assidua di animaletti selvatici. Non è poco.
La città degli animali è l’ultimo libro scritto da Danilo Mainardi; in esso racconta delle moltissime specie di animali che popolano le nostre città. Purtroppo non ci soffermiamo spesso a godere della loro presenza; piuttosto, ci accorgiamo di loro quando diventano troppi, o pericolosi. E non ci rendiamo conto che la pericolosità di ratti piccioni o nutrie è dovuta all’incuria con cui manteniamo l’ambiente in cui viviamo, in cui vivono anche loro.
A Novello, nelle Langhe, dal 2014 c’è un centro di recupero per ricci, La Ninna, gestito dal veterinario Massimo Vacchetta. La landing page fornisce subito informazioni per chi trova un riccio in difficoltà: è utilissimo, quando i veterinari non vogliono, o non possono – devo ancora capire perché – occuparsi di animali selvatici. Il primo libro di Massimo, 25 grammi di felicità, racconta la storia d’amore con la sua “primogenita”, Ninna, che ha dato il nome al Centro.
In Germania, a Wiesbaden, vive Herbee, un riccetto la cui famiglia umana si diverte a travestirlo in ogni modo. Su Instagram, dove ha un milione e mezzo di follower, sembra veramente felice; in altri luoghi il dibattito sugli animali umanizzati…
Un popolo che ci somiglia, le formiche
Un animale con cui mi trovo a dover fare i conti non volendo utilizzare veleni è la formica:ne ho una colonia in cucina, e spazzo molte volte al giorno, per raccoglierle e buttarle fuori. Quando mi metto nei loro panni, mi rendo conto che essere spinte a forza nella cassetta del sudicio, allontanate da famiglia e amici, e scaraventate in giardino (che poi è per la loro salvezza) mi ricorda, con tutto il rispetto del caso, le deportazioni di massa. Con tutto il rispetto del caso, continuo ad assimilarle a noi geniacci umani, perché sono un popolo affascinante, e come noi ingegnose, coraggiose, potenti ma nello stesso tempo anche razziste, prepotenti, disinteressate alle sorti di quelle di loro che non ce la fanno (quante volte le ho viste passare accanto a una loro simile mezzo affogata…).
A volte osservo le formiche, affascinata dalla loro organizzazione, e ripenso a Ciondolino, un libro di Vamba che lessi da bambina. E’ la storia di un bambino che si trasforma in formica per non studiare, salvo poi scoprire che anche le formiche vanno a scuola e che la loro collettività è organizzata con grande coscienza civica, tanto da fargli esclamare “a diventar formicola mi par d’essere diventato un grand’uomo!”.
Le rane ci insegnano a meditare?
All’inizio della primavera rane, rospi, ranocchi si svegliano: l’istinto di sopravvivenza gli fa lasciare i prati dove hanno riposato per tutto l’inverno e partire col buio alla volta di stagni e laghetti dove deporre le uova. Purtroppo non sanno che l’Uomo viaggia anche di notte, così gruppi di volontari in giacchetta fosforescente e guanti li aiutano ad attraversare le strade.
I rospi hanno ispirato la psicoterapeuta Eline Snel, che ha scritto Calmo e attento come una ranocchia, un libro leggero come un respiro che insegna la mindfulness ai bambini: “La rana rimane ferma e respira. Risparmia le energie e non si lascia trascinare da tutte le idee che le passano per la testa. La sua pancia si solleva e si abbassa, si gonfia un po’ e poi si sgonfia. Se può farlo una rana puoi farlo anche tu”, dice ai più piccoli.
Ma quando si ha bisogno di chiedere aiuto?
Che si fa quando si trovano ricci boccheggianti sul prato il 6 di gennaio o il 15 di agosto? Quando si raccoglie una rondine appena toccata da un’auto in corsa? Quando c’è un piccione fermo in mezzo a un incrocio? Quando accanto a un cassonetto c’è un sacchetto del pane con due gattini appena nati? Per non parlare di quando si vede un maialino dentro a un fosso quasi secco…
Noi animalisti siamo fissati, si sa, e finché non siamo sicuri che l’animale raccolto è salvo, tartassiamo gli amici, i veterinari, i pompieri, la Lipu e via e via. Ma ci sono tante persone che non possiedono animali, che non sanno nulla di animali, ma che potrebbero volerne soccorrere uno in difficoltà; a chi può rivolgersi una persona qualunque se vuole aiutare?
Per trentennale esperienza, la risposta è: A NESSUNO. O meglio: a nessuno a cui possa pensare sul momento chiunque si trovi nella necessità di prestare aiuto. Ci vorrebbe una APP che raccogliesse informazioni e dati, e fornisse in maniera chiara e concisa tutto il know-how per salvare tante piccole vite – che poi son piccole solo per noi: ognuno è a misura del suo mondo.
Isabella Ciapetti
Progetto Vivere Vegan Onlus
BIBLIOGRAFIA:
Luigi Bertelli (Vamba), Ciondolino, Bemporad, 1895
Danilo Mainardi, La città degli animali, Cairo, 2016
Eline Snel, Calmo e attento come una ranocchia, Mondadori, 2015
Massimo Vacchetta, 25 grammi di felicità, Mondadori, 2016