Dopo aver affrontato il tema dell’etica a ribasso nell’articolo “Le ragioni del veganismo e le risposte dei fedeli al carnismo”, ora Rita Ciatti affronta il secondo tema: quello della nutrizione nel confronto fra “carnisti” e vegani.
Riprendo in questo articolo le argomentazioni in favore del veganismo, o meglio le risposte che noi vegani siamo chiamati a dare tutte le volte che ci confrontiamo con i carnisti. Nella prima parte avevo affrontato il tema dell’etica al ribasso, mentre qui affronto, da una prospettiva comunque antispecista, quello della nutrizione.
Sembra incredibile, eppure, nonostante il web pulluli di canali Youtube su cosa mangino i vegani, di account Instagram dedicati all’alimentazione vegetale e via dicendo, c’è ancora chi chiede “ma allora cosa mangi?” supportato dalla convinzione che senza corpi di animali a fettine e bicchieroni di latte di altri animali non si possa vivere.
Non sono ironica e non voglio fare sarcasmo, ma è davvero strano anche perché se c’è un argomento che è riuscito a passare a livello di comunicazione mainstream è proprio quello della cucina e alimentazione vegetale, che è altra cosa dal veganismo, come sappiamo. Infatti si può benissimo mangiare vegetale senza per questo essere vegani, il che, se da una parte ci crea non pochi problemi nel comunicare il concetto giusto di antispecismo e liberazione animale perché in sostanza non si arriva mai a mettere in discussione lo specismo, dall’altra dovrebbe quanto meno aiutarci nel superamento di alcuni luoghi comuni.
Il veganismo e l’alimentazione a base vegetale
Il veganismo è un concetto filosofico molto complesso che investe ogni campo del nostro agire quotidiano e che mette in discussione non soltanto le credenze diffuse e interiorizzate che abbiamo degli altri animali e dell’animalità in generale, ma anche della nostra specie e del ruolo che siamo chiamati a svolgere sul pianeta: per inciso, nessun ruolo in particolare, non siamo custodi o padroni della terra, siamo semplicemente una parte del tutto e ciò che dovremmo veramente fare è, semplicemente, ridimensionarci.
Quindi, se parlare di veganismo può essere senz’altro un compito più arduo, molto meno dovrebbe esserlo parlare di alimentazione e nutrizione vegetale, eppure anche qui dobbiamo fare i conti con una serie di credenze errate che ci hanno trasmesso sin da quando siamo venuti al mondo e per questo probabilmente così difficili da estirpare.
Cosa mettere nel piatto
L’errore di pensiero più comune è quello di credere che mangiando vegetale si debba eliminare sostanzialmente quasi tutto, da qui la credenza che ci rimanga solo l’insalata.
Sì e no.
Si devono senz’altro eliminare gli animali, i corpi degli animali – io mi rifiuto di chiamarli “carne” perché il termine “carne” implica una neutralizzazione semantica, ossia lenisce l’immagine mentale corrispondente alla cruda realtà – e tutti i prodotti derivati dal loro sfruttamento, cioè latte, uova, miele. Ma questi possono essere banalmente rimpiazzati dai loro sostituti di origine vegetale: ossia parliamo di tantissime preparazioni e non di insalata o erbetta.
Per esempio, parlando di latte e latticini (quindi formaggi, ricotte ecc.): in commercio ci sono svariate tipologie di bevande vegetali simili al latte reperibili ormai in ogni negozio o supermercato, discount compresi; bevande da cui si possono ottenere e realizzare formaggi freschi e stagionati, ricotte, yogurt, dolci, budini, gelati ecc., praticamente l’equivalente vegetale di quello che tradizionalmente è ottenuto dal latte vaccino, caprino o di bufala; così come ci sono affettati vegetali in tutto e per tutti simili agli equivalenti a base di corpi animali e sostituti per addensare preparazioni in tutto e per tutto simili alle uova o dolcificanti simili al miele (peraltro, ho scoperto da poco che esiste il miele vegetale: identico di sapore a quello ottenuto sfruttando le api poiché la materia prima sono sempre i fiori).
Mangiamo alcuni animali per tradizione e non per necessità
Il latte di mucca non è necessario per la crescita dei piccoli umani, né ovviamente nella nostra vita da adulti.
Il latte di mucca serve, come in ogni specie animale appartenente all’ordine dei mammiferi, a nutrire i cuccioli fino alla fase di svezzamento e ogni tipo di latte di ogni specie di mammiferi contiene i nutrienti per far crescere quella specie lì in particolare.
Noi non siamo vitelli. Non siamo capre. Non siamo pecore. E non siamo nemmeno bufali. Perché mai dovremmo avere necessità di bere latte di mucca, di pecora, di capra, di bufala per stare in salute?
Tutte le preparazioni culinarie che hanno informato il nostro gusto possono venire realizzate lo stesso. Le lasagne della nonna, il risotto della zia, le fettuccine di mamma possono essere preparate con la besciamella vegetale. Il sapore è identico, ma se anche fosse leggermente diverso, potreste in tutta onestà accettare di mandare al macello individui senzienti per una sfumatura di sapore? Lo si accetta solo perché si cresce nella convinzione che il valore delle loro vite sia inferiore al nostro.
“Siamo carnivori e ci ammaliamo o addirittura moriamo se non mangiamo gli animali”
Quali animali? Quali animali dovremmo mangiare per sopravvivere?
Come mai, pur essendo individui appartenenti alla specie umana, quindi con le medesime necessità biologiche, questi animali di cui dovremmo necessariamente nutrirci variano invece di paese in paese, di cultura in cultura?
Qualcosa in questa affermazione dovrebbe suggerirci che in realtà noi mangiamo alcuni animali per cultura e non per necessità, giacché, se davvero fossimo predatori carnivori per necessità non staremmo tanto a guardare la specie da metterci nei piatto e mangeremmo tranquillamente anche cani e gatti senza inorridire da un punto di vista etico.
In alcuni paesi mangiano i cani e i gatti, in effetti; in altri anche i delfini e le balene. In altri ancora procioni, ratti, serpenti, tartarughe, insetti, locuste, vermi.
Il ribrezzo che proveremmo se ci trovassimo nel piatto insetti o cani indica che, ben al di là di necessità biologiche, attribuiamo agli altri animali precise funzioni (da compagnia, da latte, da carne ecc.) originate da una serie di motivazioni culturali.
Il fatto che originariamente siano state prescelte alcune specie è indicativo della facilità con cui, con i mezzi di allora, è stato facile addomesticare determinate specie, quindi il dominio ha sempre un’origine biologica in questo senso, ossia di attitudine e predisposizione, ma non fondata sulla necessità come è per le specie davvero carnivore, bensì per scelta e libero arbitrio o interessi legati al profitto e all’ascesa sociale condizionata da criteri sempre culturali.
Vale a dire che se abbiamo una predisposizione genetica non è certo quella della predazione biologica, bensì del dominio sui viventi attuato tramite la forza e la violenza e poi giustificato con la naturalizzazione e la normalizzazione culturali.
A ben guardare, così come abbiamo modificato il nostro habitat con l’ausilio di una tecnologia sempre più raffinata, abbiamo anche modificato le altre specie adattandole alle nostre funzioni di uso, consumo e trasformazione. Tutto ciò non è predazione, ma appunto dominio.
Siamo davvero carnivori, ossia moriamo se non uccidiamo e mangiamo animali?
Quindi non siamo carnivori, ma carnisti, ossia abbiamo interiorizzato la credenza che mangiare animali sia normale, naturale, necessario, ma in realtà siamo onnivori, o meglio, polifagi, cioè possiamo scegliere da un elenco molto variegato di alimenti che si trovano in natura.
Quello di cui abbiamo bisogno sono le proteine, i carboidrati, i grassi, le vitamine e i sali minerali, tutti nutrienti che possiamo tranquillamente e banalmente trovare nei vegetali.
Alimentazione vegetale e ambiente
Ma cosa significa “vegetali”? Che mangiamo solo insalata (quindi, di nuovo, ancora questa domanda)?
No, vegetale significa tutto ciò che ci dà la terra, a parte gli altri esseri senzienti che dovrebbero vivere per loro stessi e non per darci qualcosa a noi o in funzione nostra.
Cereali, legumi, ortaggi, semi, frutta, verdure e tutti insieme assemblati, spremuti, lavorati, affumicati, stagionati, fermentati, trattati per darci qualsiasi prodotto si voglia ottenere che abbia anche una forma e sapore simile a quello cui ci hanno abituato da piccoli.
La fettina che mangiate, il polpettone della zia, il formaggio stagionato, il salume affumicato, l’arrosto della nonna e così via sono sempre il risultato di un processo lunghissimo e pieno di violenza, cioè l’insieme della tradizione violenta da superare, da sostituire.
Un vitello, una mucca, un maiale, un pollo, un pesce, un tonno sono esseri non solo vivi, ma viventi, cioè che fanno esperienza del mondo.
Il processo che li trasforma da corpo che si muove, che interroga, che sperimenta, che prova, che sente, che partorisce cuccioli, che ama, che gioca, che prova emozioni e sensazioni a fettina inerte aromatizzata sul bancone della macelleria o sullo scaffale del supermercato non è uno spettacolo di magia.
Non è prestidigitazione.
Non è quel vuoto semantico di cui ci parlano le etichette del benessere animale, ossia quello spazio innominato che sta in mezzo alla parola “pascolo” e “piatto di casa tua”.
In mezzo c’è una realtà di cui va tenuto conto: una realtà di abuso, di oppressione, di violenza, di sofferenza, di sangue, di coltelli, di seghe elettriche, di gas soffocante, di pistole captive, di nervi, di cartilagini spezzate, di urla e di terrore.
Se possiamo vivere benissimo senza mangiare animali. E possiamo perché appunto siamo onnivori e non carnivori. Perché sterminare miliardi di esseri senzienti? Perché esser parte di una maggioranza complice di questa oppressione e violenza?
Oggi si parla tanto di transizione alimentare per alleggerire l’impatto ambientale.
Questo è un argomento valido, ma indiretto rispetto al tema più ampio dell’antispecismo e che soprattutto, non mettendo in discussione l’uso degli animali per motivi etici, ma solo perché considerati elementi inquinanti, potrebbe cercare (già sono presenti in teoria) soluzioni ancora più violente e aberranti.
Corpi animali modificati geneticamente, razze che inquinano di meno o che hanno percentuali più basse di grasso, allevamenti idroponici, allevamenti di insetti o animali più piccoli che richiedono minori risorse idriche e meno spazio.
Non dobbiamo semplicemente chiedere di ridurre il consumo di animali o di fare una transizione alimentare per motivi ecologici e di spazio, ma di ripensare il nostro rapporto con le altre specie.
La transizione fondamentale che dovremmo fare è quella cognitiva: quella che ci porterà a vedere gli altri animali come gli individui che dunque sono e non come i prodotti o le macchine in cui li abbiamo trasformati.
Rita Ciatti
Progetto Vivere Vegan