Ai tempi del coronavirus: gli umani costretti a fare un passo indietro, mentre gli altri Animali riconquistano gli spazi.
In questo periodo stiamo vivendo uno stravolgimento della nostra vita, una vita tutta incentrata sul nostro procedere nel mondo, sul conquistarsi la pagnotta e un posto di visibilità nella società attraverso aperitivi, feste ed eventi mondani di vario genere. Per una vita così “tutta da bere” abbiamo bisogno di abiti e accessori che ci rappresentino al meglio, gadget tecnologici e automobili e altri oggetti e tutta la nostra economia ruota intorno a questi bisogni, qualcuno reale e molti indotti da abili spin doctors pubblicitari. Siamo sempre in movimento, sempre con la nostra fedele e inquinante automobile, andare a lavoro, nei negozi, nei locali ed è tutto così “normale” da non essere mai e poi mai messo in discussione. Le conseguenze non le consideriamo nemmeno, tanto siamo convinti dall’ideologia del dominio che il mondo intero è nostro, a nostra disposizione, solo nostro, solo della specie umana, preferibilmente di varietà bianca, eterosessuale e meglio se di genere maschile, ovviamente.
Poi arriva lui, un virus dal capside coronato a ricordarci che forse tanto al di sopra delle leggi naturali non siamo, e già questa consapevolezza sarebbe un primo passo importante da fare.
Chiudono le scuole e io che sono insegnante resto in casa ma non solo io perché piano piano chiudono tante altre attività, come sappiamo per bloccare il contagio.
Comincio a rendermi conto che si sente meno passare le macchine, in effetti pur stando in campagna prima era tutto un andirivieni per la strada. Una mattina di buon’ora scendo per portare la mia canetta fuori e noto qualcosa di insolito e per me incredibile: fagiani e gazze che passeggiano tranquilli sulla strada. Non li avevo mai visti. E’ una gioia per me vederli così presenti ma un colpo mi prende il cuore: perché prima non li vedevo? E capisco: prima passavano le automobili e loro si nascondevano per salvarsi la vita, ora le automobili non passano e loro possono finalmente riappropriarsi di uno spazio che noi, con il nostro correre di qua e di là, gli avevamo precluso. E’ proprio questo il punto: la nostra convinzione di essere padroni del mondo ha fatto sì che colonizzassimo tutti gli spazi per i nostri bisogni veri o presunti e che così finissimo per toglierli a tante altre creature che non li hanno più potuti utilizzare.
La Terra è nostra, pensa la specie umana. E questa convinzione è diventata purtroppo realtà.
Da quel giorno sono comparse notizie analoghe di delfini che si riprendono i mari del porto di Cagliari e della laguna di Venezia, capre selvatiche che corrono per i paesi deserti e via discorrendo. Il cuore mi sanguina al pensiero di quanto i fratelli animali abbiano sofferto per la privazione di quegli spazi che adesso si riprendono quando, per loro finalmente, l’uomo ha fatto un passo indietro.
Qui il pensiero vola al bellissimo testo di Jim Mason “Un mondo sbagliato” e alla sua analisi dell’ideologia del dominio, soprattutto applicata alle ben note sofferenze degli animali negli allevamenti, nei laboratori di sperimentazione, nelle feste popolari cruente e nell’addomesticamento e selezione di razze innaturali, soprattutto per quanto riguarda i cani. Io mi sento, a questa sua analisi che consiglio a tutti e tutte di leggere e capire, di aggiungere il male che stiamo facendo alle specie ancora selvatiche, in libertà relativa nel togliergli spazio vitale e libertà di muoversi. L’ideologia del dominio presuppone che tutto ciò che è presente sul pianeta Terra, l’acqua, i minerali, le specie viventi, sia a disposizione ella specie umana. Nella Genesi Dio consegna la Terra ad Adamo in realtà perché la custodisca ma di fatto perché ne usi a suo scopo e piacimento. Il Dio patriarcale di Abramo esige sacrifici di agnelli ed è un Dio dei pastori, i più specisti tra gli uomini. Il male di questa visione tuttavia non si limita alle vittime dirette dell’uomo, cioè degli animali da lui allevati, ma anche a quelli che l’uomo ha lasciato apparentemente vivere in Natura. L’uomo quando deve costruire, spostarsi, muoversi non pensa mai che lo spazio in cui si muove e costruisce non appartiene solo a lui. Questo problema l’uomo non se lo pone mai. Semplicemente l’ideologia del dominio è talmente radicata in lui che neanche ci pensa. Non pensa “se costruisco una casa qui tolgo spazio a qualche altro essere vivente”, “ se passo da questa strada con la mia automobile impedisco il passaggio a qualche altra specie”, “se prendo questa nave da questo porto impedisco a qualche altra specie marina di stare qui”. L’uomo proprio non ci pensa.
Già li sento gli amanti del progresso umano gridare “e che dobbiamo fare, evitare di muoverci in macchina? Di prendere una nave? Di costruirci le case?” o magari “che dobbiamo fare, tornare nelle caverne?”
Io a queste domande non ho una risposta perché la risposta non è facile da trovare. So soltanto che se non ci poniamo la domanda non troveremo mai la risposta. Il punto è che siamo talmente intrisi di specismo e di ideologia del dominio che neanche ci poniamo la domanda, o che riteniamo la domanda stessa assurda e ininfluente. Come se fosse una domanda neanche da farsi. Insomma togliere spazio ad altre creature viventi non è una variabile da considerare, nel nostro progettare il mondo.
Il coronavirus dovrebbe aiutarci a fare queste riflessioni, a capire meglio noi stessi e il nostro modo di vedere il mondo. Dovrebbe farci capire che non siamo sopra al mondo e che in questo mondo non ci abitiamo da soli. Dovrebbe insegnarci il rispetto. Allora avrà avuto un senso e avrà degnamente svolto il suo compito nella storia dell’umanità.
Francesca Decandia
Progetto Vivere Vegan ODV