Secondo un articolo del Times, le corride in Spagna sono diminuite del 46%, essendo passate da 810 a 369 l’anno in un decennio. Cosa dire?
Lo specismo nelle feste
Tutte le feste che utilizzano animali sono feste speciste. Chi segue la filosofia antispecista non può che augurarsi che esse vengano abbandonate, perché sa che gli animali vengono al mondo per seguire la propria natura e i propri istinti, non per altro. L’essere umano, però, a un certo punto della sua storia evolutiva, ha ritenuto che gli animali ci fossero per soddisfare i suoi scopi, anche di divertimento e di festeggiamento. L’antispecismo vuole che finiscano anche quelle feste che hanno a che fare con l’appartenenza culturale se utilizzano animali perché vuole eliminare da una cultura ogni aspetto di sofferenza e di sfruttamento delle altre specie, ogni aspetto che non tenga conto della vera finalità di esistenza delle altre pecie costringendole a vivere per la specie umana, per nutrirla o divertirla che sia.
Personalmente non ho niente contro ciò che ci fa sentire appartenenti al nostro territorio e alla nostra cultura e a scuola ho studiato la filosofia greca, so che Aristotele, il grande filosofo, è alla base del nostro pensiero occidentale. Mi chiedo però se la maggior parte di quelli che lo studiano e lo citano sanno che egli era a favore del mantenimento della schiavitù umana (oltre che essere specista) in quanto era un aspetto costitutivo del funzionamento della polis greca. Forse che rinunciare a una tradizione ingiusta e di grande sofferenza come la schiavitù non viene considerato come un progresso verso il Bene più che uno sradicamento culturale? Vorrei che anche la rinuncia alle feste con gli animali fosse visto così, come una diminuzione di sofferenze ingiuste inflitte a esseri senzienti, come un’espansione della capacità di provare rispetto ed empatia verso l’Altro, finanche all’Altro dell’Altra specie, quindi come un’ulteriore evoluzione verso il Bene.
Lo specismo più crudele
Ma c’è un motivo in più per augurarsi la fine della corrida: essa è sostanzialmente una festa di sangue perché a differenza di altri appuntamenti tradizionali che utilizzano gli animali è caratterizzata dal sicuro versamento di sangue, sempre del toro e qualche volta del torero. La corrida è il tipo di festa di sangue per eccellenza dello specismo, di quell’ideologia del dominio dove l’uomo si sente padrone della vita delle altre specie sulla terra tanto da godere della vista di una sua soppressione cruenta e crudele, intrisa di sofferenza e paura. La tauromachia secondo me è un vestigium dell’antico sacrificio animale, quando lo scorrere del sangue della vittima era considerato di buon auspicio per l’uomo. Il punto è se chi ha scelto di coltivare una filosofia di vita antispecista deve rallegrarsi della notizia oppure fare un’ulteriore riflessione.
In parte rallegriamoci
Io credo che bisogna rallegrarsi perché la diminuzione delle corride è legata alla crescita della sensibilità animalista e quindi al rifiuto di godere della sofferenza di un animale, addirittura la Catalogna ne ha fatto nel 2016 un motivo di ulteriore distacco dal regime spagnolo, quando il Parlamento regionale catalano aveva posto un veto sulle corride che la Corte costituzionale spagnola, con 8 giudici a favore e 3 contrari, ha ritenuto contrario alla legge spagnola, in modo particolare la legge del 2013 del governo Rajoy fatta ad hoc per “imporre” le corride a tutto il territorio spagnolo in quanto feste nazionali identificanti l’appartenenza alla nazione spagnola. Barcellona non si è arresa dichiarando che avrebbe fatto di tutto per ripristinare il veto.
Vittoria di Pirro?
Dall’altra parte ci sono tante altre questioni che offuscano questo grande segnale: di corride, per un antispecista, ce ne sono troppe anche se ne viene fatta solo una all’anno, inoltre pare che i tori che non entrano nell’arena finiscano quasi tutti al macello, il che ci fa capire che se l’uomo non rinuncia a nutrirsi di carne una “vittoria parziale” come questa rischia di diventare una vittoria di Pirro, in cui a pagare è sempre e comunque il toro, il cui sangue o sul pavimento dell’arena o sul pavimento di un mattatoio continua inesorabilmente a scorrere, con gioia festosa e avida di molti appartenenti alla nostra specie.
Cosa dobbiamo pensare? Io credo che dobbiamo essere consapevoli di quanta strada c’è ancora da fare, ma che la strada che abbiamo intrapreso abbracciando l’antispecismo non è proprio nelle sue fasi iniziali. Questo ci deve dare la forza di continuare nel nostro cammino: non dobbiamo sprecare nessuna occasione di parlare, diffondere la nostra buona cucina vegana, contrattare con la controparte specista per salvare ciò che vale della tradizione, cioè ciò che non ha inflitto sofferenza a nessuno, e lasciare andare ciò che invece costringe gli altri, compresi quelli delle altre specie, a non vivere per sé stessi e ad essere dominati dal nostro ego. Il tempo è prezioso perché riduce il numero di fratelli animali sacrificati all’altare di questo ego e sta a noi non buttarlo via.
Un pensiero va per tutti quegli animali che ancora stanno soffrendo e dovranno ancora soffrire, perché il cuore dell’umanità intera ne sia finalmente toccato.
Francesca Decandia
Progetto Vivere Vegan ODV