E’ da segnalare che sul quotidiano Corriere della Sera sono usciti, sabato 24 gennaio 2015, ben due articoli che trattano di diritti animali.
Uno in cronaca, di Mara Rodella, occupa più di mezza pagina con foto, riporta la recente condanna esemplare dei tre dirigenti di Green Hill, l’allevamento di cani beagle destinati alla vivisezione; si sottolinea, con condivisibile soddisfazione, che si tratta di una “sentenza storica”, dato che non era mai successo che i responsabili di un simile allevamento fossero condannati per maltrattamento e uccisione di animali.
Nell’articolo si plaude, anche giustamente, al fatto che i beagle superstiti rimarranno con le famiglie che li hanno adottati e c’è un trafiletto sull’esperienza di una fotografa di Roma che ha preso con sé uno di quei poveri cuccioli e ne è felicissima.
Purtroppo, sebbene sia scritto che i cani a Green Hill venivano crudelmente maltrattati e ingiustamente uccisi, non si trova alcun commento critico circa l’inammissibile pratica della vivisezione alla quale le stesse disgraziatissime creature erano destinate e dove avrebbero continuato a subire, inutilmente, torture e sofferenze ancora più atroci, per tutta la loro misera esistenza, fino alla morte.
In questo modo si rischia di rafforzare un messaggio tanto paradossale quanto diffuso (specialmente in ambito di allevamento biologico): ciò che fa la differenza, in termini etici, circa una presunta tutela del diritto dell’animale, sarebbe la “qualità di vita” che a questi è consentita e garantita prima di giungere al momento dello sfruttamento, allo scannamento, alla tortura.
Ancora una volta gli scopi per i quali tali creature vengono utilizzate come fossero oggetti, e non esseri viventi senzienti, non sono messi in discussione.
E’ davvero sufficiente, per pacificarsi la coscienza, assicurarsi che arrivino “felici” e in buona salute sotto il bisturi dello “scienziato” sadico, o che siano pieni di vita e magari anche di speranza, mentre viaggiano stipati sui camion che li conducono il macello?
L’altro articolo dal titolo “Persone a 4 zampe” scritto da Daniela Monti, appare nella rubrica “Tempi liberi” e prende in esame la tendenza, sempre più diffusi fra gli umani, a rendere antropomorfi i loro animali domestici.
Alcune osservazioni possono essere condivisibili: l’accanimento terapeutico nei confronti dei soggetti gravemente malati dovrebbe essere evitato per qualsiasi essere vivente giunto a fine vita senza alcuna distinzione fra specie, fornendo piuttosto un accompagnamento che faciliti una morte serena a chi deve andarsene e sostenga, nel processo di distacco dall’amato, chi deve rimanere.
D’accordo anche col fatto che nei confronti degli “altri animali” l’uomo agisca in maniera assai contraddittoria e incoerente considerando i soggetti che vivono nella sua casa membri della famiglia trattandoli, di conseguenza, con amore e rispetto mentre, senza porsi il minimo problema, mangia, si veste e acquista quotidianamente derivati animali: derivati dei cadaveri degli altri, “altri animali”, la sottospecie della sottospecie, quelli “da reddito”.
Quindi ben venga la citazione da George Orwell “… tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri”.
Vero anche che, manipolati dal business dell’industria, si esagera nel proiettare i propri bisogni (spesso indotti anche sugli umani) sugli animali domestici, finendo per forzare la loro natura e dunque mancando loro di rispetto, facendo indossare loro dei vestiti, acconciando il loro pelo come fossero capelli, o facendoli stare per ore in una borsa, come fossero peluches…
Trovo invece un pò confusivi alcuni accostamenti: si citano i locali dove ci si può rilassare accarezzando gatti e cani o l’uso della pet terapy che riconducono, evidentemente, nell’ambito dello sfruttamento, senz’altro da evitare; questo non ha niente a che fare col considerare un cane, o un gatto, membri della propria famiglia, o con la possibilità di poter seppellire in un luogo adatto il proprio amico defunto, o con le varie opportunità di dog sitting per evitare, a queste creature sensibili, troppa solitudine.
Perché poi l’accostamento, ironico, del “bonus bebè” al “bonus dog”? Non trovo sbagliato che alcuni comuni offrano incentivi per incoraggiare l’adozione dal canile municipale, sempre che poi si facciano le opportune verifiche. Prendere con sé creature abbandonate è meglio che incentivare l’allevamento di razze selezionate, che è comunque una forma di sfruttamento.
Nonostante alcune perplessità, è da segnalare che l’articolo termina citando l’ottica degli antispecisti che, è scritto, combattono contro il massacro quotidiano degli animali (per cibo, vestiario, ricerca, divertimento) e la conclusione sottolinea, giustamente, che questa tendenza ad “umanizzare” gli animali da compagnia non rende la gente più sensibile alla questione dei diritti di tutti gli animali.
Forse addirittura peggiora la situazione, perché tali atteggiamenti rafforzano l’alibi di chi vezzeggia eccessivamente il proprio compagno domestico e si ritiene, per questo, profondamente amante degli animali ma allo stesso tempo sostiene, con ogni azione quotidiana, la crudeltà su tutti gli “altri”.
Caterina Servi Scarselli
per Progetto Vivere Vegan