Cosa, noi animali, chiediamo oggi all’etologia e in generale allo studio e comprensione del comportamento animale.
L’etologia tra ieri ed oggi
Quando, nella prima metà degli anni ’80, iniziai a studiare etologia e a fare ricerca, sia dentro che fuori i percorsi accademici, l’etologia era una disciplina assolutamente sconosciuta e, devo dire, forse era un bene, in quanto così rimaneva intatta nei suoi valori, nei suoi scopi, nelle sue applicazioni. Con il tempo però questa disciplina ha iniziato a deteriorarsi a causa da una parte con le connivenze con il behaviorismo, disciplina eticamente inaccettabile e insostenibile per l’animalità, dall’altra con quell’ossessione a renderla disciplina calata nella realtà, come etologia applicata. Una realtà distorta però in quanto riferita alla sfera zootecnica, ma anche alle realtà dell’industria cinofila ed equestre, ma mai a quella della tutela fine a se stessa, del benessere fine a se stesso. Cioè di tutte quelle applicazioni pratiche che non hanno come fine l’animale, il suo valore intrinseco, ma il suo uso, il suo valore economico e che non hanno come fine un cambiamento radicale nel nostro vivere l’animalità, ma il supportare un giustificazionismo per continuarne l’oppressione, ma con un’approvazione pseudoscientifica, ma peggio ancora pseudoetica.
Troppi etologi e poca animalità
E così l’etologia da materia pressoché sconosciuta è diventata fin troppo conosciuta e con questo perdendo veramente la sua natura. Oggi o la si confonde con il behaviorismo, o con la psicologia degli animali, o con addirittura l’addestramento, trasformando nella percezione comune un addestratore in etologo e un etologo in addestratore. Quindi viene utilizzata impropriamente e diffusa al grande pubblico con messaggi deviati e devianti la conoscenza animale. In più viene confusa tramite l’equazione etologia = posto di lavoro, che non è il suo ruolo, ma che anzi spinge truppe e truppe di giovani etologi a supportare fattorie felici, mattatoi etici, allevamenti etologici, addestramenti scientifici. Questo senza tener alcuna considerazione etica degli animali, ma neanche tenendo in considerazione i principi di cognizione, soggettività e animalità.
In più il concetto di animalità che, diversamente da quello di umanità, rappresenta un fatto biologico e non una speculazione filosofica, è grandemente negato dall’etologia moderna, mentre la sua comprensione rappresenta un punto di svolta importante nella comprensione del comportamento animale. Una comprensione che va al di là dei concetti di specie, razza, utilità, nocività e vari altri specismi.
Tutto muta, tutto si trasforma
Non si sa come si è arrivati a questa convinzione ma oggi si pensa che la natura sia qualcosa di fisso, di immutabile, di statico e quindi si ha spesso un’idea di natura come fosse un polveroso museo di vittoriana memoria, con animali imbalsamati e immoti, senza un proprio pensiero, privi di capacità di scelta, incarcerati in teche che, quando riferiamo ai viventi, chiamiamo nicchie ecologiche.
Nel mio percorso universitario ho invece appreso un altro modo di pensare, ovvero che la principale caratteristica di quel qualcosa che chiamiamo natura, è il cambiamento dove questo rappresenta il drive principale della vita sulla terra, per come la conosciamo. Si può tranquillamente dire che senza questa spinta al mutamento come costante, non solo la vita non esisterebbe, ma neanche una ricca biodiversità esisterebbe.
Infatti anche la biodiversità spesso la si immagina statica, mentre essa va vista come qualcosa in continuo divenire. In più, se pensiamo al concetto di animali alieni tanto caro ad una certa stampa allarmistica, quindi parlando di specie alloctone, che vediamo sempre come minaccia, possiamo dire che sono state proprio esse il principale motore evolutivo della biodiversità. Cioè essa, la biodiversità, non sarebbe mai esistita senza le specie cosiddette invasive, aliene, alloctone.
Prima la soggettività: la sfida della nuova etologia
Come stiamo vedendo sono innumerevoli le sfide con cui la nuova etologia deve confrontarsi. Tra queste l’emergere del riconoscimento di un principio di soggettività, che vada oltre il concetto di specie, ma che vada oltre un mero richiamo all’individualità. Infatti, soggettività e individualità, appartengono a due dimensioni diverse. La prima qualitativa, la seconda quantitativa. Ossia, la soggettività non rappresenta un mero numero o un principio di diversità, ma un modo in cui ogni animale interroga il mondo, si muove nel mondo, lo esplora, lo studia, lo conosce, e ne è partecipe. L’individualità invece rappresenta un dato quantitativo, numerico, al limite di differenziazioni tra numeri, ma non va oltre questo. Quindi parlare di soggettività significa andare ben oltre quello di individualità.
In questo senso inoltre, osservare e interpretare il comportamento animale, oggi non può fermarsi ad una mera elencazione e categorizzazione di espressioni e significati, ma deve fare lo sforzo di guardare a come un animale, quell’animale, quel soggetto, vive il suo contesto, come fluisce in esso, ma anche come lo modifica attivamente.
Per un’etologia antispecista
Ed ecco che qui veniamo al domani, al futuro dell’etologia, che possa diventare più credibile di quella di ieri, sorgendo da una matrice culturale antispecista, invece che continuare ad interpretare su una base specista, supportando allevamenti, industrie d’oppressione e comprensione distorta del mondo animale, delle sue reali dinamiche, delle sue vere esigenze, di un autentico conoscere questo mondo.
Per fare questo ci vuole coraggio nel cambiare radicalmente la nostra prospettiva, anche in merito agli animali umani.
Per fare questo ci vogliono ragazze e ragazzi con il desiderio di spingersi oltre un orizzonte troppo predefinito.
Per fare questo dobbiamo mettere centrale un pensiero antispecista, che crei il giusto fondamento valoriale.
Per fare questo dobbiamo fare un salto quantico da una conoscenza che opprime ad una che libera.
E dobbiamo farlo oggi, non domani.
Francesco De Giorgio
per Progetto Vivere Vegan
Bio Francesco De Giorgio
Francesco De Giorgio biologo, etologo, naturalista, negli anni ’80 allievo del prof. Danilo Mainardi, presso l’Università di Parma.
Ora Presidente dell’Associazione Sparta Riserva dell’Animalità, in provincia di Imperia, Francesco De Giorgio si interessa anche di filosofia antispecista. E’ stato fondatore dell’Istituto internazionale di formazione Learning Animals insieme a sua moglie José.
Promuove lo sviluppo di un paradigma di conoscenza, consistente sia nella teoria che nella pratica, all’interno di una lotta di liberazione per l’Animalità, anche umana.
Francesco dedica le sue energie non solo a comprendere e supportare gli animali in difficoltà, ma anche a porre in una luce diversa e all’interno di una prospettiva critica la questione animale, che lui afferma essere la madre di tutte le questioni che opprimono la nostra società e che va affrontata con etica, coscienza, attraverso una nuova matrice culturale che ponga centrale il punto di vista animale.
Da decenni svolge formazione per proprietari, professionisti e volontari che si occupano di animali e animalità, non attraverso un metodo ma attraverso una conoscenza che vada alle origini di un’etologia che abbia una base etica ed antispecista.
Docente esterno presso l’Università di Innsbruck in Austria, relatore esterno per progetti di tesi in diversi atenei italiani e internazionali.
Fra i suoi volumi più recenti: Dizionario Italiano/Cavallo (2010), Comprendere il Cavallo (2015), entrambi pubblicati in Italia. Equus Lost? (2017), pubblicato negli Stati Uniti e in Germania (2021), Nel nome dell’Animalità (2018), con la traduzione in spagnolo (2019).