Nel suo capolavoro “I Miserabili”, lo scrittore romantico Victor Hugo ci parla della monelleria parigina, il fenomeno dei bambini randagi presente in Occidente fino al secolo scorso. La soluzione è stata culturale: possiamo sperare che lo sia anche per il randagismo degli animali non umani?
Così, nel tomo dei suoi “I miserabili” che introduce il personaggio di Marius, colui che sposerà la figlia del travagliato protagonista, Jean Valjean, Victor Hugo parla dell’infanzia randagia parigina del XIX secolo: “questo piccolo essere è gaio. Non mangia tutti i giorni e va a teatro, se gli garba, tutte le sere. Non ha camicia addosso, non ha scarpe ai piedi, non un tetto sul capo… ha da sette a tredici anni, vive in gruppi, gironzola per le strade, alloggia all’aria aperta… bestemmia come un dannato, frequenta la bettola, conosce dei ladri, dà del tu alle prostitute…”
Questi bambini vivevano per strada, abbandonati dalla famiglia talmente povera da non potersene prendere cura. Così camminavi per le strade di Parigi e trovavi questi bambini che cercavano cibo e riparo. Hugo ne dà un quadro quasi allegro ma senza nascondere la drammaticità della loro condizione, soprattutto quando parla di Gavroche, uno di questi “birichini” che diventa uno dei protagonisti della parte finale del romanzo. Il piccolo Gavroche, rifiutato da una famiglia in totale miseria che non l’ha mai amato, vive in una statua a forma di elefante e dorme sotto una grata che lo deve difendere dai ratti che altrimenti lo divorerebbero, trova raramente da mangiare e cerca di tenere il suo spirito sollevato cantando canzoni.
Più recente nella storia è la vicenda narrata nel tenerissimo film “Il Monello” di Charlie Chaplin, film degli anni Trenta del XX secolo, in cui un bambino viene abbandonato in fasce per l’estrema miseria della madre e raccolto da Charlot che lo cresce come suo.
Abbandonare l’infanzia e considerarla feccia che infesta le strade della “gente perbene” ha caratterizzato la nostra cultura fino al secolo scorso: non sono certo molti anni che tutto questo è finito, che l’infanzia è stata ritenuta degna di tutela e protezione.
Una soluzione culturale
Victor Hugo stesso si è battuto per la tutela degli infanti e per l’istruzione obbligatoria per tutti. Il grande scrittore francese aveva intuito che l’unico modo per uscire da una simile barbarie era culturale e lui per primo ha lottato perché questo cambiamento di cultura avvenisse. La Convenzione dei diritti dell’infanzia vede la luce solo nel 1989 e arriva alla fine di un lungo percorso di cambiamento di mentalità, che ha inquadrato la condizione di bambino in un’ottica di rispetto e di diritto.
Adesso ci scandalizzeremmo tutti se vedessimo i bambini randagi, senza riparo, scarpe e cibo. Nessuno di noi sarebbe disposto a fare deroghe su questo.
La nostra società però continua a tollerare che centinaia di animali non umani di specie addomesticate da millenni dall’uomo continuino a vivere in una tale condizione. Perché?
Il randagismo dei non umani
Il problema del randagismo di cani e gatti è una piaga che affligge pesantemente l’Europa. In Italia esso è presente soprattutto nelle città del Sud del paese. Molti villeggianti sensibili verso i diritti dei non umani quando vanno in vacanza nelle regioni del Sud Italia si trovano spesso coinvolti in vicende di randagi estremamente malati e sofferenti, che vagano nell’indifferenza generale dei cittadini e peggio ancora delle istituzioni.
La sterilizzazione stenta ancora a decollare proprio in quelle zone più infestate da questa piaga e spesso le associazioni che se ne occupano non trovano altro modo di risolvere il problema promuovendo adozioni indiscriminate “nel centro-nord”, dove si ritiene che le persone siano più sensibili in tema di diritto animale. Come descritto nel libro “SodiCane” a cura di Luca Spennacchio spesso le persone che adottano non si rendono conto dei problemi che cani e gatti che hanno molto sofferto presenteranno loro, sia dal punto di vista educativo che sanitario. I canili del nord si sono negli anni riempiti di cani adottati dal Sud e poi abbandonati perché di difficilissima gestione. Alcune malattie, endemiche al Sud, si sono diffuse anche a nord, come la leishmaniosi, grazie a questi trasferimenti di massa.
Un cambiamento di mentalità
Ciò che non possiamo accettare nella nostra specie, cioè che individui deboli vivano in condizioni miserabili, non dovremmo accettarlo neanche per le persone di altre specie: questa è la differenza tra una visione specista e una antispecista. Lo specismo ci dice che un conto sono i bambini, un conto i cani e i gatti, ma noi come vogliamo vederla?
Ultimamente si sta facendo strada una nuova visione per quanto riguarda una soluzione culturale al randagismo dei non umani. E’ un punto di vista culturale perché riconosce agli animali non umani lo stesso diritto di cittadinanza e di vita specie-specifica che lo specismo riconosce solo all’essere umano.
Se noi riuscissimo a riconoscere a cani e gatti il diritto di vivere liberi e tutelati secondo il proprio etogramma e le proprie necessità specie-specifiche, potremmo immaginare qualcosa di alternativo all’adozione selvaggia e indiscriminata?
Chiudiamo un attimo gli occhi e immaginiamo comunità feline e canine interessate da campagne di sterilizzazione, in cui i membri sono curati sul territorio, in cui ci sono punti di foraggiamento e di riparo adeguati e soprattutto in cui gli esseri umani vivono rispettando queste comunità e le loro esigenze, imparando quindi a convivere con l’Altro per eccellenza, ovvero l’Altro di specie. Una situazione del genere comporterebbe indubbiamente una crescita culturale delle persone umane sia dal punto di vista dell’empatia che del rispetto. Queste colonie sarebbero delle palestre incredibili per quei bambini che reduci da una storia di sofferenza passata potrebbero imparare la cura proprio nel prendersi responsabilità di questi abitanti diversi da loro. Ne crescerebbero tutti: umani e non umani.
Purtroppo siamo lontani da un simile obiettivo. Ne ho parlato con Giuliana Adamo, educatrice cinofila, responsabile del progetto di contrasto al randagismo in Italia di Save the Dogs, l’associazione fondata in Romania da Sara Turetta. Giuliana mi dice: “il grosso problema della gestione dei cani sul territorio è la complessità dei temi che ne fanno parte: gerarchie del gruppo, ambiente lontano da contesti urbani, punti di foraggiamento, gestione della popolazione locale, catture e sterilizzazioni, ecc. Purtroppo ad oggi la mancanza delle istituzioni che supporti le associazioni resta il punto cardine del problema del randagismo e progetti come questi, per loro, risultano troppo ambiziosi.”
Cosa fare?
Fino a che le istituzioni reputeranno troppo ambiziosi progetti come questi sul territorio per cani e gatti liberi la vita continuerà ad essere molto dura. Eppure dipende da tutti noi, da come vediamo la faccenda. Vogliamo vivere ancora in un mondo che riconosce i diritti solo ad alcune categorie di esseri senzienti o vogliamo cominciare a capire che non siamo gli unici abitanti di questo pianeta, con più diritti degli altri? Che la Terra la condividiamo con tanti altri abitanti che la arricchiscono e la rendono così cara anche a noi per primi?
Giuliana Adamo conclude così: “più si formano i volontari e si fanno campagne di sensibilizzazione per la popolazione, più la gestione dei cani sul territorio può diventare qualcosa di gestibile. Noi di Save the Dogs, nei territori dove operiamo, proviamo a farlo ogni giorno!”
La soluzione è sempre quella: solo un cambiamento culturale cambierà davvero le cose. Dai bambini ai cani e ai gatti: la strada è stata lunga ma possiamo arrivare in fondo.
Francesca Decandia
Progetto Vivere Vegan