Siamo ormai abituati dalle litanie dei media a occuparci di cambiamento climatico solo in termini di interesse della nostra specie: riusciamo difficilmente a vedere quanto le altre specie ne paghino le conseguenze senza mai averlo provocato.
Il cambiamento climatico viene analizzato sempre e soltanto in termini di specie umana: sappiamo che è causato dall’uomo, dall’aver bruciato millenni di fonti fossili accumulate nel sottosuolo in forma di petrolio e aver quindi riversato in atmosfera un quantitativo enorme di gas serra, la CO2, prodotto finale della combustione di queste fonti. Sappiamo ormai che la pratica dell’allevamento, soprattutto quello intensivo, consuma acqua e risorse in enormi quantità e contribuisce all’aumento di tale gas serra in atmosfera. Sappiamo che le estati torride, i ghiacciai che crollano perché si sciolgono, nevi perenni rimaste a scintillare sotto il sole per centinaia di migliaia di anni fino a quando le temperature si sono alzate troppo oltre il limite per rimanere tali sono frutto dell’aumento dell’effetto serra dovuto alla presenza di questi gas immessi nell’atmosfera dalle attività umane. Quello che non si dice mai è che il riscaldamento globale è il prodotto finale e compiuto dello specismo e della sua ideologia del dominio.
Il dominio come fede umana
Questa ideologia ha spinto l’uomo almeno da 10000 anni a questa parte a sviluppare le tecniche di controllo del mondo naturale: il dominio dell’elemento fuoco, l’invenzione di sistemi irrigui che hanno permesso la nascita delle città vicino ai maggiori corsi d’acqua, l’agricoltura e l’allevamento fino alla scoperta della ruota e l’invenzione delle prime macchine fino a quelle sofisticate attuali. L’uomo, possedendo la tecnica, ha potuto diventare il signore della Natura e non ha resistito alla tentazione di diventarne anche padrone. Un padrone decide della vita e della morte di tutto ciò che è a lui sottoposto.
L’uomo si è dimostrato un padrone infantile, capriccioso, per nulla misurato nell’esercizio di quel potere che egli stesso si è attribuito e così, invenzione dopo invenzione, siamo arrivati al motore a scoppio e all’utilizzo dei carburanti fossili la cui combustione comporta le conseguenze di cui sopra.
Ma è davvero tutto qui?
Gli ultimi pagano per tutti
In Iraq, nella riserva di Sawa, il cambiamento climatico sta colpendo la regione con una violenta siccità. A causa di questa siccità, che si abbatte come una piaga in una regione già martoriata da anni di guerre, i laghi si prosciugano, diminuiscono i raccolti e le riserve di cibo per gli animali selvatici che ci vivono. In quel drammatico scenario uomini e animali soffrono insieme: il 40% delle gazzelle rhim dalle corna ricurve è morto per fame e sete nell’ultimo mese (Siccità in Iraq, il 40 per cento delle gazzelle di Sawa sono morte in un mese – La Stampa). Le foto degli animali accasciati al suolo toccano il cuore, immagine degli ultimi tra gli ultimi, ridotti a discariche su cui si riversano le conseguenze finali dei grandi problemi. Mentre l’uomo occidentale, causa di tutto ciò, raffinato interprete della migliore cultura specista, cerca refrigerio nelle sue piscine e sotto i suoi condizionatori di ultima generazione, le gazzelle muoiono, sprotette, indifese, impotenti. Muoiono nell’indifferenza generale, tra un lamento sul caldo torrido di quest’estate e un aperitivo ghiacciato.
Quello che l’essere umano specista non comprende è che la Terra non è soltanto sua, egli la divide con milioni di altre specie viventi che hanno sulla sopravvivenza in essa gli stessi suoi diritti. Quando l’uomo fa le sue scelte non considera mai il fatto di non essere solo, qui, che le conseguenze non le pagherà lui soltanto ma anche tutti gli altri. Lo specismo è una disconnessione dal cerchio della vita: nelle decisioni politiche ed economiche la presenza delle altre specie non è mai considerata, solo e soltanto e sempre è considerato l’interesse umano, che con la sua tecnologia e il suo sistema di produzione si è imposto su tutti gli altriesseri viventi.
La risposta dall’antispecismo
Ancora una volta l’antispecismo offre l’unica vera chiave di volta: non si può semplicemente andare avanti a pensare solo alla propria pancia e a guardare solo il proprio ombelico perché QUI NON SIAMO SOLI. La responsabilità non ricade solo sulla nostra specie, che già sogna di battersela a gambe levate su un altro pianeta ospitale lasciando la Terra ridotta a una grande pattumiera bollente. La responsabilità che la nostra specie si assume è di distruggere la possibilità di vita per molte, molte altre specie. Una responsabilità che l’uomo dovrebbe cominciare a volersi assumere, prima che sia troppo tardi, prima di inforcare le stelle e lascare qui gli altri a fare i conti con la propria distruzione.
Francesca Decandia
Progetto Vivere Vegan