Vista l’importanza dell’arte come mezzo di denuncia dello specismo, di cui non si parla ancora molto, questo articolo si presenta come continuazione di un argomento già trattato precedentemente. Gli artisti che hanno realizzato opere volte a denunciare il maltrattamento degli animali sono numerosi e molti di loro meritano una particolare attenzione, proprio per il messaggio che le loro creazioni vogliono trasmettere.
Helen Barker
Helen Barker non è solo un’ artista americana ma anche un’attivista vegana che si occupa di un piccolo santuario per polli. In qualità di artista vegana non usa né prodotti di origine animale né prodotti testati su questi ultimi per i suoi lavori.
Tra i più incisivi troviamo “Ghost” (Fantasma). Il quadro rappresenta un cavallo, quasi privo di particolari, con dei paraocchi. Vi è una ragione per queste due caratteristiche. L’artista sembra dirci che i paraocchi siano quelli che molte persone indossano quando si tratta del consumo di carne.
Si potrebbe affermare, infatti, che la maggior parte delle persone faccia scelte dettate da una mancanza di consapevolezza nei confronti delle condizioni in cui versano gli animali che poi vengono uccisi per essere consumati. Questa mancanza è causata dall’ambiente circostante che porta l’individuo a non porsi nemmeno il problema riguardante tutto ciò che è dietro ad una fetta di carne.
Anche le pubblicità giocano un ruolo fondamentale, dato che mirano ad ingannare il consumatore presentando una realtà abbastanza distorta, soprattutto per quanto riguarda le condizioni di milioni di animali negli allevamenti. I paraocchi potrebbero anche rappresentare la mancanza di sensibilità e di accettazione anche quando si è consapevoli della realtà, condizione che porta alla cosiddetta “dissonanza cognitiva”.
Per quanto riguarda, invece, la figura anonima del cavallo, si potrebbe ricollegare alla mancanza di identità di questi animali. Essi, infatti, nascono già con un destino prestabilito e, sfortunatamente, vengono visti solo come un pasto da essere consumato e non come esseri viventi capaci di provare emozioni.
Sullo stesso tema troviamo altre opere dell’artista, in particolare la serie “Cuts” (Tagli). Con la matita Helen rappresenta una gallina (immagine allegata alla fine del paragrafo), un maiale e un agnello, mettendo in primo piano le parti di questi animali che vengono generalmente vendute ai consumatori.
La caratteristica dell’opera però risiede proprio nel fatto che vi sono delle parole scritte sul corpo degli animali, tra cui “sono un individuo”, “voglio vivere”, “sono sensibile”, “il mio petto contiene il mio cuore, il coraggio, l’empatia (…)” e altre frasi che non solo descrivono le caratteristiche delle specie rappresentate ma soprattutto mirano a far capire che questi animali sono prima di tutto individui, hanno un cuore, una famiglia e capacità emotive e proprio per questo non dovrebbero esser visti come esseri inferiori meritevoli dei trattamenti che l’essere umano moderno gli riserva.
Per concludere con le opere di Helen Barker è importante menzionare “The Roots Of All Evil” (L’origine di tutti i mali), in quanto vuole essere una denuncia contro il capitalismo e lo sfruttamento delle mucche.
Questa opera parla dell’addomesticamento, del capitalismo e della civiltà umana costruita sulle spalle della mucca e forse anche distrutta ai piedi di essa. Le parole “capitale”, e “bestiame” hanno un’origine comune, essendo ricollegate alla parola “proprietà”. Le mucche sono state, infatti, la nostra prima valuta e sono state utilizzate e continuano ad esserlo ancora oggi in tutto il mondo.
Gli elementi illustrati nell’opera rappresentano l’orribile storia della nostra relazione con questa specie di giganti gentili, che un tempo veneravamo, e che abbiamo poi trasformato in nostri schiavi. Questa storia è stata dannosa per noi stessi quanto per loro. La terra appare ricoperta da infiniti campi di soia, mais e grano, la stragrande maggioranza dei quali viene trasformata in mangime per gli animali da allevamento. Molte specie sono state portate all’estinzione. Inoltre, anche il pianeta risente dell’impatto che gli allevamenti hanno sull’ecosistema. Stime approssimative affermano che vi sono circa un miliardo di mucche oggi nel mondo, le quali vengono sfamate con la stessa quantità di cibo e denaro che servirebbe per combattere la fame nel mondo. Secondo l’artista questo è il frutto del capitalismo e del consumo di massa della carne bovina. È inoltre possibile leggere in alto una frase in latino, “l’oppressione è ricchezza”, come ulteriore denuncia allo sfruttamento degli animali solo per il guadagno di alcuni.
Hartmut Kiewert
Hartmut Kiewert, artista già menzionato nel precedente articolo, continua ad impegnarsi nella realizzazione di opere non facili da interpretare ma piene di simbolismo e messaggi.
Nella sua raccolta Urban Space (Spazio Urbano) troviamo vari animali rappresentati in spazi urbani dove sarebbe impensabile trovarli in realtà. Queste immagini quasi utopiche vogliono trasmettere, invece, un messaggio alquanto sottile. Trovare una mucca e dei tacchini sul marciapiede, dei maiali seduti vicino ad una fontana, o una famiglia di cinghiali alla fermata dell’autobus sono situazioni quasi surreali da vivere, ma bisognerebbe domandarsi il perché di tale assurdità.
Vi è una tendenza umana allo sfruttamento degli altri animali così radicata da portare le persone a ritenere gli animali importanti solo in funzione del soddisfacimento di determinate necessità, tra cui l’alimentazione o la strumentalizzazione di alcuni di essi anche a scopo lavorativo.
Sarebbe impensabile incontrare una mucca seduta sull’erba di un prato del giardino comunale, semplicemente perché con lo sviluppo e l’industrializzazione gli spazi destinati agli animali non solo sono limitati, ma oramai è diventato molto più semplice trovarli all’interno di allevamenti piuttosto che all’aria aperta a godere della piena libertà. Alcuni studiosi potrebbero chiamarla “Tragedia dei beni comuni”, riferendosi al fatto che, soprattutto in economia, per tragedia dei beni comuni, o collettivi, si intende una situazione in cui diversi individui utilizzano un bene comune per interessi propri e nella quale i diritti di proprietà, con riferimento in tal caso agli animali, non sono chiari. Sicuramente essi non ci appartengono, ma la mancanza di una chiara definizione dei diritti di proprietà ha radicato nell’essere umano una presunzione tale da portare al loro sfruttamento.
Forse Kiewert vuole solo risvegliare gli animi proponendo una realtà, al primo impatto distorta, ma che simboleggia, invece, una possibile società dove lo specismo rimanga solo un brutto ricordo.
Come affermava Bertolt Brecht, “l’arte non è uno specchio su cui riflettere il mondo, ma un martello con cui scolpirlo”. Abbiamo ancora la possibilità di cambiare la realtà, e l’attivismo artistico si presenta come uno dei vari strumenti che potremmo utilizzare per raggiungere tale scopo.
Serena Gentile
Progetto Vivere Vegan