Il contesto-mondo in cui viviamo è scaturito da ciò in cui come umanità abbiamo deciso di credere. Un altro mondo è possibile solo credendo in cose altre. Gandhi può esserci di esempio.
In questo periodo abbiamo attraversato sia come popolo italiano che come umanità una prova molto dura che non sempre ha tirato fuori il meglio di noi: la pandemia covid. Non è ancora finita questa emergenza che scoppia una guerra in Europa, quasi “alle porte di casa”: la Russia attacca l’Ucraina e al di là delle motivazioni a pagarne il fio sono sempre i soliti inermi: civili e animali.
In periodi come questo l’unica cosa più facile del solito è fare delle riflessioni. Come antispecista mi sono chiesta se questi flagelli che ci hanno interessato non siano frutto della scelta specista che sta alla base delle nostre società.
Il covid
Al di là di tutte le diverse interpretazioni del fenomeno, mi sembra opportuno analizzare il perché in Natura si sviluppano le malattie che si trasmettono a grosse fette di popolazione, come i virus. In Natura, quando la biomassa supera la sostenibilità dell’ambiente, ovvero cresce a dismisura, i virus intervengono per regolare il numero di componenti e riportarlo a un livello accettabile per l’ecosistema. Non solo: coloro che sopravvivono all’attacco virale sono sicuramente più resistenti agli agenti ambientali e quindi la specie ne esce rafforzata.
Questo è ciò che la biologia ci insegna e non vedo motivo per confutare questa visione della cosa. In effetti con le morti si riduce il numero e chi ne esce vuol dire che era particolarmente resistente all’attacco. Senza cadere nelle tentazioni del darwinismo sociale, dobbiamo secondo me chiederci come mai, in base a questo metodo di riequilibrio biologico, siamo arrivati a un punto in cui è stato “necessario” l’arrivo del covid. Alcuni diranno che ormai in Occidente la crescita demografica non è più così elevata e quindi non c’è così tanta popolazione da giustificare una simile ecatombe naturale. Ma questa è secondo me una spiegazione insufficiente proprio perché come al solito guarda l’uomo e non gli altri esseri viventi che con lui fanno biomassa: gli animali non umani.
Gli allevamenti sono ormai sempre più dei luoghi dove si accumulano tanti individui in una promiscuità inaccettabile per la Natura, proprio perché se ne violano i diritti fondamentali a vivere nel numero e nello spazio specie-specifici. Nessun tipo di allevamento è accettabile per un antispecista, ma non si può negare che l’evoluzione del sistema di allevamento verso la forma intensiva sia data dall’acutizzarsi dei principi specisti contemporaneamente al passaggio a una forma di società basata sulla tecno-scienza, in cui tutto è reificato e subordinato all’interesse di una sola specie: la nostra.
Mi spingo oltre: non è che la società della tecnica nasce proprio perché la nostra specie ha scelto di credere nei valori specisti?
La guerra
Le immagini di devastazione dell’Ucraina sono davanti a tutti noi e non possiamo non addolorarci e indignarci profondamente per quello che sta succedendo, per il prezzo altissimo che gli inermi, umani e non umani, dovranno pagare per le scelte geopolitiche di chi governa il mondo.
Siamo soliti, in modo molto specista secondo me, a non vedere le relazioni tra le guerre e lo sfruttamento animale. Secondo me perché fa comodo, perché possiamo indignarci con Putin addentando un panino al prosciutto.
Ma ciò che facciamo all’Altro di specie lo possiamo fare anche all’Altro umano che riteniamo a noi inferiore. Non è in primis questo che muove l’antispecista, ciò che lo muove è un senso di compassione ed equità universale, ma in questo momento non posso non farmi una domanda: se avessimo scelto come umanità i valori antispecisti sin dall’inizio, oggi ci sarebbe questa guerra? Potrebbe un paese accettare di raggiungere i propri scopi causando sofferenza e morte agli innocenti?
L’esempio di Gandhi
La società antispecista non esiste, per cui dare risposte certe a queste domande non è possibile. Possiamo cercare però degli esempi in modo da intuire quale potrebbe essere l’indirizzo che prenderebbe la storia se l’umanità pensasse in termini antispecisti.
L’esempio che mi è venuto in mente in questo periodo è quello del Mahatma Gandhi, forse perché l’azione violenta della guerra pone la questione se operare con nonviolenza sia davvero possibile oppure no.
Gandhi era un uomo colto, aveva conosciuto bene la società inglese che opprimeva il suo paese, essendo vissuto in Inghilterra e avendo ottenuto la laurea in Giurisprudenza proprio a Londra. Trasferitosi in Sud Africa, aveva toccato con mano la discriminazione patita dalla sua gente. L’episodio della diligenza, dove viene picchiato dall’inserviente perché si rifiuta di non sedere con gli europei, cambia la sua percezione delle cose, e da politicamente neutrale diventa il Mahatma che tutti conosciamo.
Tornato in India si trova ad affrontare l’oppressione del suo popolo a causa del colonialismo inglese ma invece di imbracciare un fucile imbraccia l’antico telaio tradizionale del suo popolo, invece di sparare e uccidere gli inglesi spinge gli indiani a tessere le proprie stoffe boicottando quelle inglesi, invece di lanciare bombe rinuncia al poco cibo di cui si nutre negli scioperi della fame e al posto delle pallottole usa le parole. Parole chiare, inequivocabili, che danno forma alla verità.
Per ciò che posso sapere, l’impegno politico di Gandhi è andato di passo con il suo vegetarismo e l’unico cibo animale che mangiava era il latte della sua capretta, un animale che portava sempre con sé.
Pur non essendo interamente vegano proprio per questo consumo del latte della sua capra, ritengo che la sua era una visione praticamente antispecista, visto che spesso si riporta una frase attribuita a lui : “la grandezza di un popolo si vede da come esso tratta gli animali”.
Che dire, viene da pensare che le soluzioni ai problemi e ai conflitti partorite dalla mente antispecista potrebbero essere davvero molto, molto diverse da quelle a cui dobbiamo assistere, soprattutto in questa difficile fase storica.
Francesca Decandia
Progetto Vivere Vegan