Seconda parte di un viaggio cinematografico sul conflitto devastante che vede un vincitore supremo: l’essere umano. L’animale, sconfitto, può solo provare a opporre con tutte le proprie forze, una qualche resistenza. Altri 5 titoli per una riflessione in merito.
Quella che segue è la seconda parte di un breve viaggio riflessivo compiuto analizzando brevemente alcune pellicole che hanno affrontato in modo più o meno diretto la guerra che gli umani hanno dichiarato agli animali. Lungi dal voler essere critica cinematografica, questo articolo vuole essere solo offrire spunti in merito.
Ci tengo ad aggiungere che questo concetto è da qualche anno argomento di studio della facoltà di filosofia dell’Università di Milano. Il professor Gianfranco Mormino, autore di un fondamentale saggio su questo argomento (“Dalla predazione al dominio – la guerra contro gli animali” – Raffaello Cortina editore) dirige infatti la cattedra di Human – Animal Studies volta ad analizzare il rapporto tra esseri umani e animali e ad analizzare come la sopraffazione nei confronti degli animali sia stato, nel corso del tempo, il laboratorio in cui sono state inventate le tecniche di sopraffazione applicate anche a contesti puramente umani.
Il cinema ha fin dagli albori mostrato come l’essere umano fosse un essere vivente prevaricante e come gli animali fossero costretti a difendersi dalla sua arroganza e sete di profitto.
Cujo
Un film che ha segnato una generazione.
Al di là del valore reale della pellicola (a scanso di equivoci: per chi scrive è un buon film) Cujo piomba nelle sale cinematografiche per intaccare uno dei “miti” canini dell’epoca: ritenere il San Bernardo il cane buono per eccellenza. Ma andiamo con ordine. Gli anni 80 vedono attenuarsi il filone eco-vengeance ma non abbandonano il tema della guerra tra esseri umani e animali. Tra i titoli più interessanti c’è Cujo, del 1983, tratto dal celebre romanzo di Stephen King. Per gli spettatori degli anni 80 vedere un San Bernardo diventare un cane assassino è come scoprire Madre Teresa di Calcutta regina del narcotraffico. Cujo è un cane che vive nella periferia di Castle Rock. Viene descritto come docilissimo e amante dei bambini. Tuttavia, in una soleggiata giornata di giugno del 1980 (l’anno in cui si svolge il romanzo), inseguendo un coniglio selvatico, si ritrova con la testa incastrata in una piccola caverna infestata dai pipistrelli e viene morso. Contrae così la rabbia e si trasforma rapidamente in cane feroce, arrivando ad attaccare e uccidere Joe Camber ed il suo vicino Gary Pervie. Per fortuna, il figlio e la moglie sono lontani da casa per far visita ad alcuni parenti e si salvano la vita. Al di là del finale, scontato, che vedrà il “mostro” sconfitto, è interessante notare come, in questo caso, l’animale entri in guerra con gli umani perché “malato”, fuori di testa suo malgrado. Ma gli umani, lo sappiamo, davanti a un’aggressione non vanno mai per il sottile, a prescindere da cause e colpevolezze. E amano sparare nel mucchio. La guerra agli animali, accusati di “portare malattie” è immediatamente dichiarata. Anche se nel film non si vede, è facile intuire che tempi bui attendono i cani di Castle Rock .
D’altra parte, nella realtà, funziona così: al di là della questione coronavirus, lo scorso anno proprio qui dalle mie parti, nell’aretino, un gatto ha contratto il lyssavirus in seguito al presunto morso di un pipistrello. Questo ha scatenato una vera e propria caccia all’infetto, portando alla cattura di numerosi pipistrelli e a un provvedimento draconiano contro i cani vaganti. Chi è beccato in giro senza proprietario nei dintorni finisce dritto al canile e ci resta per mesi. In isolamento.
Tralasciando per un attimo l’effettiva possibilità di una diffusione della rabbia (possibilità molto bassa a detta di più veterinari), quello che ci interessa, qui nello specifico è notare come la guerra agli animali venga dichiarata senza alcuna distinzione tra “colpevoli” e “innocenti”. Per altro una guerra che può portare a uno sterminio (per fortuna, poi, qui il pericolo è rientrato). Non ho le competenze per dire come sia corretto agire in questi casi, ma resta il fatto che molti cani e alcuni gatti sono rimasti chiusi nei canili per quasi un anno, separati dalle loro famiglie a cui sono stati letteralmente strappati. In più con la minaccia incombente di una possibile soppressione. Al primo sintomo sospetto.
Ora, proviamo a immaginare se ci si fosse comportati così con Mattia, il paziente 0, durante la prima ondata di coronavirus.
Monkey shines
1988.
Esce Monky Shines, di George A. Romero.
Tratto da un romanzo di Michael Stewart, un thriller “imperniato sulla labile linea di divisione tra uomo e animale”, ha nella trama le implicazioni che lo rendono perfetto per affrontare il conflitto impari tra le due specie. Si parla infatti di sperimentazione animale e addestramento, due forme molto diffuse di prevaricazione che rendono gli animali oggetti di cui l’essere umano cerca di disporre (e dispone) per migliorare principalmente la propria salute. E la salute, si sa, è argomento che spesso finisce per convincere a cambiare fronte anche molti sostenitori degli animali. La storia è quella dello studente universitario Allan Mann che, in seguito a un grave incidente, finisce su una sedia a rotelle, in stato tetraplegico. Un suo amico fidato gli regala una scimmia ammaestrata, alla quale, nel suo laboratorio di sperimentazione, ha iniettato un siero ricavato dal tessuto cerebrale umano. Tra il giovane Allan e la scimmia si sviluppa un forte e angosciante legame psichico, che presto degenera fino a spingerla a compiere omicidi, di cui proprio Allan, inconsciamente, si rivela essere il richiedente.
In questo caso siamo davanti all’animale reso aggressivo dalla sperimentazione e condizionato a uccidere dall’addestramento. Cose che purtroppo hanno riscontro nella realtà. Se si parla di aggressività condizionata, ad esempio, pitbull e altre razze canine simili ne sanno qualcosa. D’altra parte se nessuno ha dubbi sul fatto che oggi milioni di animali subiscono esperimenti terribili in nome della scienza, l’addestramento, che li rende schiavi dell’essere umano, spesso passa in sordina sotto mentite spoglie. Basti pensare a elefanti, tigri, orsi e ai loro numeri nei circhi, spacciati per momento di gioco e interazione con i domatori. Comunque nel film il messaggio in merito è meno subdolo di quel che si possa pensare a una prima visione.
Anzi una battuta lo dichiara esplicitamente: “Questa scimmia è la tua schiava” dice l’addestratrice al protagonista.
28 giorni dopo
Balzo in avanti e si arriva all’inizio degli anni 2000.
Questa volta siamo davanti a un film che collega la pandemia (in questo caso di morti viventi) a un esperimento condotto in laboratorio. Ricorda qualcosa?!
In Gran Bretagna gli animalisti si introducono di notte in un centro di ricerca con l’intento di liberare degli scimpanzé geneticamente modificati e impiegati come cavie (una di queste, legata a una sedia, viene costretta a osservare su un monitor una serie di filmati di rabbia truculenta umana). Mentre i Nostri si accingono ad aprire le gabbie, un medico ricercatore li scopre. Quest’ultimo, terrorizzato, confessa loro che agli animali è stato somministrato un inibitore altamente contagioso, una modifica del virus della rabbia. Gli attivisti non credono alle sue parole e liberano uno scimpanzé, il quale li assale e li morde. Immediatamente una di loro prende a vomitare sangue e a mostrare atteggiamenti simili a quelli del primate. Uno dei suoi amici tenta di soccorrerla. Nel tentativo entra anch’egli in contatto con il virus, che innesca in lui la stessa mutazione. È l’inizio della fine del mondo.
La guerra agli animali, qui imprigionati e torturati è in pratica lo start up della storia. La loro liberazione da parte degli animalisti, dipinti come traditori della propria specie, viene demonizzata. Guai a opporsi alla scienza, pena il disastro globale. Gli animali, resi violenti dagli esperimenti degli esseri umani, appaiono come portatori di malattie. E se nel film, alla fine è il genere umano a rivoltarsi contro se stesso, nella realtà la malattia degli animali, non importa da chi è causata, è spesso fonte di caccia, strage e sterminio.
L’alba del pianeta delle scimmie
Uscito nel 2011, uno dei film per eccellenza sul tema di guerra agli animali. Anche in questo caso si parla di esperimenti. Tutto comincia in Congo. Alcuni scimpanzé vengono catturati dai bracconieri e venduti un laboratorio di ricerca a San Francisco. Qui Will Rodman, un ingegnere farmaceutico, sta sperimentando un medicinale genico per curare la malattia di Alzheimer e decide di usare il primo campione dell’ALZ-112, un virus umano in grado di potenziare i recettori neuronali delle scimmie. Una di queste, soprannominata “Occhi Luminosi”, mostra lo sviluppo di un’intelligenza superiore alla media, ma risponde con aggressività ai tentativi dei medici di sottoporla a nuovi esperimenti. Un giorno, addirittura scappa dalla sua cella e interrompe bruscamente un’importante seduta del consiglio d’amministrazione, venendo uccisa dalle guardie su ordine di Steven Jacobs, l’uomo d’affari cinico e senza scrupoli a capo dell’azienda. A quel punto il progetto dell’ALZ-112 viene dichiarato fallito e viene ordinata la soppressione di tutti gli esemplari di scimpanzé presenti in laboratorio. Will e Franklin obbediscono a malincuore ma, con sorpresa, trovano uno scimpanzé neonato nella cella appartenuta a Occhi Luminosi e comprendono, così, che l’aggressività dimostrata da quest’ultima era dovuta semplicemente al suo istinto materno. A quel punto Franklyn si rifiuta di sopprimere anche il cucciolo e Will decide di accoglierlo in casa propria. Nel frattempo, somministra a suo padre Charles, affetto da Alzheimer, l’ALZ-112, nella speranza di guarirlo definitivamente. Il tempo passa e lo scimpanzé neonato, soprannominato Cesare cresce e diventa ogni giorno più intelligente, imparando in fretta la lingua dei segni e raddoppiando il proprio quoziente intellettivo anno dopo anno. Quando, in seguito a un incidente che gli impedisce di restare a casa Rodman per Cesare si aprono le porte di una specie di zoo, il desiderio di riprendersi la libertà ha il sopravvento. In breve organizza una fuga e un vero e proprio esercito di scimmie pronte a dichiarare guerra agli umani nel tentativo di mantenere la libertà. Film straordinario. Parola d’ordine: Resistenza.
L’Alba del Pianeta delle Scimmie e i due sequel (altrettanto belli) mettono perfettamente in evidenza la differenza di forza che intercorre tra animali umani e non umani. Le scimmie, a cavallo e male armate devono far fronte a un esercito ben organizzato e non è un caso che vengano rappresentate come i nativi americani costretti a una guerra persa in partenza per difendere ciò che gli spetterebbe di diritto. In questo caso la libertà.
Alla fine è un vecchia storia: gli umani sterminano mentre gli animali sono costretti al sacrificio estremo nel tentativo di difendersi e non farsi sopraffare.
Zoombies (2016)
Ultimo film di questa breve carrellata sulla guerra agli animali. Titolo con un notevole gioco di parole. Uscito nel 2016 e prodotto dalla The Asylum, casa cinematografica specializzata in film super low budget con buona dose di trash. Zoombies ci permette però di affrontare un argomento molto importante: gli zoo. Ellen Rogers, dopo anni di lavoro, ha finalmente terminato la costruzione dell’Eden Wildlife Zoo, una struttura gigantesca creata per ospitare animali a rischio di estinzione, riproducendo i loro ambienti naturali ma permettendo anche ai visitatori di osservarli. Il principio di partenza è tutt’altro che malvagio: salvare tutti gli animali dall’uomo. Mentre lo zoo si appresta ad aprire i battenti tuttavia alcune scimmie contraggono un pericoloso tipo di rabbia che rischia di ucciderle tutte; i tre veterinari della struttura decidono quindi di usare su una di loro un farmaco sperimentale che dovrebbe rinvigorire le cellule infettate dalla malattia. L’esito però non è quello sperato. La scimmia muore per un arresto cardiaco. Tuttavia, dopo poco tempo si risveglia, tramutata in uno zombie, e infetta tutte le altre le quali uccidono due dei veterinari; il terzo, malgrado venga ferito, riesce a salvarsi e attiva l’allarme, sigillando la stanza per impedire ai primati di uscire. Troppo tardi. Gli animali si trasformano in zombie e a quel punto la guerra si svolge tutto all’interno della struttura. Al di là della diatriba sulla presunta missione degli zoo, quella cioè di salvaguardare le specie (missione oggi ampiamente disattesa) c’è qui d’interessante la questione degli animali zombie. La ribellione nei confronti dell’uomo dominatore ha successo solo quando sono già morti. Troppo tardi. Il tentativo di difendersi ormai è quindi arrivato al capolinea.
Il concetto di fondo suona come una lapidaria cinica sentenza. Gli animali da vivi non hanno alcuna speranza. Al massimo possono provare a ribellarsi da morti. D’altra parte non è forse quello che sta accadendo con la sempre più preoccupante diffusione di malattie provenienti dagli allevamenti e dai mercati di carne a cielo aperto? Coronavirus, aviaria e mucca pazza (per fare solo qualche esempio) docet.
Siamo avvertiti.
Francesco Cortonesi
Progetto Vivere Vegan