La nostra è una società basata sui consumi, motore della nuova religione della crescita economica infinita. Le pubblicità, che hanno lo scopo di incentivare tali consumi, sono onnipresenti e hanno un impatto forte sulle persone e nei confronti dei più giovani hanno ormai un ruolo educativo chiave. La responsabilità nella formazione delle coscienze non può più essere trascurata e la verità non può più essere sottoposta alla pura logica di profitto.
Alla base dell’attuale forma assunta dalla nostra società c’è indubbiamente la scelta di mandare avanti la macchina economica cercando di stimolare la crescita infinita delle transazioni e degli scambi. In un sistema in cui si fa denaro dal denaro ormai le aziende non risparmiano su marketing e pubblicità per mantenere alte le vendite e quindi i profitti. L’economia è onnipervasiva in ogni aspetto della vita istituzionale: la sanità è un’azienda, la scuola subisce da anni tentativi sempre più spinti di aziendalizzazione, i social hanno trasformato le persone stesse in aziende che devono fatturare likes, come ci spiegano Andrea Colamedici e Maura Gancitano nel loro “La società della Performance”.
In tutto questo sistema il marketing e le pubblicità da esso create sono diventate dei veri e propri modelli propagandistici di stili e scelte di vita. Non riusciamo a renderci conto di quanto i messaggi pubblicitari influenzino il nostro quotidiano e la nostra visione delle cose fino a che non sentiamo un motivetto che ci riporta subito alla mente una certa immagine pubblicitaria o citiamo uno slogan mentre discorriamo con un amico o in famiglia. Gli uffici di marketing aziendale hanno al loro servizio psicologi e sociologi per capire qual è il tipo di comunicazione più efficace, per studiare al meglio i meccanismi di persuasione più efficaci sulle menti umane.
Le menti umane più influenzabili sono ovviamente quelle più giovani: non è raro leggere sui libri di settore che se conquisti il cliente quando è giovane, te lo porti avanti per tutta la sua vita e hai un cliente fedele su cui fare profitto.
Pubblicità ingannevoli
La Legge ha cercato di mettere un freno alla possibilità di ingannare gli utenti oltre ogni limite pur di produrre profitti consistenti. Essa definisce il concetto giuridico di pubblicità ingannevole, ovvero “qualsiasi pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua presentazione, sia idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia idonea a ledere un concorrente” (articolo 2 del decreto legislativo 145/2007). La Legge dunque riconosce la funzione formativa ed educativa della pubblicità e le impone di rispettare le persone a cui si rivolge, per evitare di formare in modo distorto e interessato la loro visione delle cose.
Che dire allora delle pubblicità sugli allevamenti che girano in televisione e sul web proprio in questo periodo in cui la coscienza animalista si sta facendo più forte?
Animali felici… di essere brutalmente macellati. Due esempi
Indagini di varie associazioni animaliste stanno rivelando i crudeli retroscena degli allevamenti. Ecco comparire la pubblicità del “Pollo Campese” di Amadori –indagato per maltrattamenti nei suoi allevamenti di maiali– felice di essere allevato, nutrito “con cibo 100% vegetale” (forse Amadori ancora non ha capito che il nostro movimento consiglia il cibo 100% vegetale all’essere umano oltre che al Pollo Campese), re della campagna, insieme a molti altri animali che probabilmente in tale allevamento non ci sono affatto, per il semplice motivo che sarebbero una dispersione di costi di mantenimento e una perdita di risorse per incrementare la produzione di carne di pollo.
A parte tutto, il messaggio è inquietante: i polli di Amadori sono contenti di vivere una vita breve e di finire poi uccisi brutalmente per diventare carne dell’azienda. Questo ovviamente solleva la coscienza di chi acquista la carne di questa marca, incrementandone i profitti. Il messaggio educativo è chiaro: puoi mangiare un animale fatto crescere solo per essere ucciso perché fino ad allora “è stato felice” (comunque da dimostrare). Lo sfruttamento è accettabile se è stato pietoso.
Un’altra orripilante pubblicità che ha suscitato proteste dal mondo animalista è quella dei salumi Becher. Il claim scelto dall’azienda italiana, ora non più utilizzato, aveva dell’incredibile, se ci si pensa con mente critica: “Maiali per caso, Salumi per scelta”. Dunque un maiale sceglierebbe di essere ucciso per compiacere il nostro palato invece che vivere sereno grufolando e facendosi bagnetti di fango. In questo caso l’essere umano fa bene a ucciderlo perché in fondo è ciò che lui vuole. Lo specismo diventa non tanto un’ideologia umana di dominio ma una legge naturale accettata con gioia da tutti i dominati.
Conclusioni
Le pubblicità di questo tipo purtroppo infestano gli spazi soprattutto mediatici in cui i nostri ragazzi vivono la maggior parte del loro tempo. C’è senza dubbio bisogno di una guida che stimoli la loro capacità di riflessione e di rifiuto per quello che è a tutti gli effetti un lavaggio del cervello ingannevole.
La coscienza animalista sta crescendo e le aziende di allevatori prendono provvedimenti, cavalcandone i temi, tentando di cooptare le sue istanze a proprio vantaggio, spacciando polli e maiali e mucche come felici della loro condizione di schiavitù per tacitare le coscienze.
In una società dove “il dualismo soggetto-oggetto tende a rientrare nel dualismo tra consumatore e merce” come dice il sociologo e filosofo Zygmunt Bauman nel suo “Consumo, dunque sono”, dove quindi la forma merce è ormai la forma dominante di educazione, non possiamo accettare una mercificazione falsa e distorta degli animali allevati, che ormai viene presa come verità, soprattutto dalle menti malleabili del futuro: i nostri giovani.
Francesca Decandia
Progetto Vivere Vegan