Esiste la pesca sostenibile? È una delle principali domande alle quali cerca di rispondere il nuovo documentario Seaspiracy, di Ali Tabrizi e Kip Andersen (produttore esecutivo), già noti per Vegan (2018), Cowspiracy (2014) e What the Health (2017), disponibile su Netflix dal 24 Marzo 2021.
Fino a che punto l’idea che abbiamo degli oceani rispecchia la realtà?
Il percorso del documentario che ci guida alla scoperta di una verità non facile da accettare comincia con immagini di un ecosistema in apparenza contaminato prevalentemente da rifiuti e plastica da noi prodotti, ma che in realtà sta pagando uno dei prezzi più cari dell’attività umana: la pesca. Con questo lavoro, Tabrizi si mette alla ricerca della possibile correlazione tra la crescente devastazione degli ecosistemi di mari e oceani e il consumo eccessivo di plastica e il suo errato smaltimento, ma soprattutto la pesca, a partire dalla caccia ai delfini e balene, a qualsiasi tipo di pesce, legale ma soprattutto illegale, che oggi ha raggiunto numeri davvero preoccupanti.
Credete davvero che i delfini vivano spensierati, nuotando fra le acque cristalline?
I primi a subire pesanti atrocità sono proprio loro, catturati per essere poi venduti ai parchi acquatici o semplicemente uccisi come capro espiatorio per la pesca eccessiva di tonno e squali, soprattutto in Giappone, dove lo spinnamento degli squali, sta portando a serio rischio d’estinzione ogni specie. Siamo abituati a temerli quando in realtà la sola cosa meritevole di condanna è l’arroganza umana e l’eccessiva pesca di questi animali, che sta portando alla distruzione di interi ecosistemi. Ogni anno circa 10 persone vengono uccise da uno squalo, mentre con le nostre attività uccidiamo tra 11.000 e 30.000 squali ogni ora. Numeri imponenti che non vengono quasi mai diffusi dai media.
Le tartarughe marine muoiono solo a causa della plastica?
È stato fin troppo comodo fino ad ora incolpare la plastica come prima causa di morte delle tartarughe. Tabrizi ci mostra che non è così. Le tartarughe vittime di plastica ogni anno sono circa 1.000, mentre, solo negli Stati Uniti, sono circa 250.000 quelle che vengono catturate, ferite o uccise da reti e ami da pesca. Il 46% di rifiuti presenti nella Grande Chiazza del Pacifico è costituito da reti da pesca ma, nonostante questi dati, molte organizzazioni che si occupano di sensibilizzare la diminuzione dell’uso di plastica non vi fanno nemmeno cenno. Il motivo di tale omissione? Riguarda la loro collaborazione con l’industria ittica per aumentare proprio la vendita di pesce. Ancora una volta il pianeta, ma soprattutto gli animali, si trovano vittime dell’egoismo e della perfidia umana che ruota sempre attorno al denaro come unico interesse.
Credete che i pesci non provino dolore?
I pesci provano dolore così come ogni altro animale. Hanno un sistema nervoso e capacità sensoriali molto sviluppate. Molto spesso si fa fatica a pensarlo, forse perché quando vengono uccisi abbandonano la vita in modo silenzioso, o forse perché molte persone pensano che i pesci non riescano a pensare o ad essere coscienti delle circostanze. Dovremmo osservarli di più per abbandonare queste convinzioni che altro non sono se non un continuo tentativo di giustificare gli atti ignobili commessi nei loro confronti.
Tabrizi ha intervistato vari personaggi molto importanti in questo settore, a partire dall’oceanografa Sylvia Earle, fondatrice di Mission Blu e di Deep Ocean Exploration and Research a Paul Watson fondatore della Sea Shepherd Conservation Society, che si occupa di salvaguardare la fauna ittica e gli ambienti marini. La metafora di Watson nel documentario è molto suggestiva. Paragona la terra ad un’astronave in giro per la galassia, e ogni astronave degna di essere chiamata tale ha un equipaggio, e lui stesso afferma la possibilità di uccidere solo un numero limitato di membri prima che il sistema smetta di funzionare. Purtroppo è proprio quello che sta accadendo: stiamo uccidendo l’equipaggio della nostra astronave.
Non esiste la pesca sostenibile, così come non esistono allevamenti sostenibili. Molte persone sono più interessate a sfruttare il problema piuttosto che risolverlo. Il documentario è volto in gran parte a sfatare il mito dell’apparente innocua barchetta rossa di Captain Findus che naviga in mezzo al mare e che è solo una grande menzogna che ci hanno raccontato fin dall’infanzia. Stiamo assistendo all’industrializzazione della pesca, attività umana che altro non è se non il puro emblema dello specismo. Ci troviamo davanti ad una corsa contro il tempo e se non agiamo subito gli oceani rimarranno vuoti entro il 2048.
Il primo passo da compiere, se si vuole raggiungere il cambiamento, va fatto verso l’informazione e la sensibilizzazione. Questo può e deve partire da ognuno di noi.
Stiamo portando avanti una guerra contro gli oceani e il risultato della vittoria umana significherebbe un’irreversibile devastazione del pianeta.
Serena Gentile
Progetto Vivere Vegan