Il controverso e pluripremiato documentario Trophy porta alla luce un paradosso sulla caccia grossa. Povertà e bracconaggio hanno una stretta correlazione e il sistema capitalistico occidentale non solo sfrutta il continente africano dal punto di vista economico, ma anche da quello faunistico.
Come muore una giraffa
Girato nel 2017 dai film-maker premi oscar Shaul Schwarz e Christina Clusiau, il documentario “Trophy – Caccia Grossa” continua, a distanza di anni, ad alimentare il dibattito sulla caccia grossa in Africa e a sollevare quesiti su ciò che è giusto, ciò che è sbagliato e quali azioni sarebbero necessarie per salvare gli animali. Nel frattempo, gli animali vengono comunque abbattuti. Lo scorso febbraio (2021 n.d.r.) ad esempio, la storia della celebre cacciatrice Merelize van der Merwe che ha ucciso una giraffa nera per poi donarne il cuore al marito per il giorno di San Valentino è rimbalzata un po’ ovunque. La fotografia, è stata diffusa dalla stessa cacciatrice insieme a quella in cui si vede trionfante, in piedi, che, come Perseo con la testa di Medusa, alza il cuore della giraffa. Fotografie che vi risparmio.
Com’era prevedibile la storia ha creato un’ondata d’indignazione, riuscendo però, in prima battuta, solo a gonfiare l’ego della Merwe che si è detta “lusingata” da tante attenzioni. Lo sprezzante e crudele gesto della cacciatrice ci mostra il vero senso della caccia, ovvero quello di uccidere qualcuno (non qualcosa) per poterlo possedere e mostrare.
Il cacciatore non spara per il gusto di premere il grilletto (potrebbe andare al poligono), non caccia per far vita all’aria aperta (potrebbe andare a cercar funghi), non uccide per mangiare (potrebbe andare al supermercato). Nessuna di queste scuse regge. Il cacciatore, che nel trofeo trova la propria essenza, ammazza principalmente per possedere. La Merwe, che in una delle fotografie che gli hanno scattato abbraccia la giraffa morta, ce lo dimostra: ghermire qualcuno (non qualcosa) che prima non poteva difendersi e ora non può più ribellarsi. Il gesto di donarne al marito il cuore (per il giorno di San Valentino) non ci appare altro che il macabro regalo del dominatore, l’ostentazione della superiorità sullo sconfitto, proprio come Perseo, appunto, fa con Medusa, ma senza le prove coraggiose che l’eroe greco ha dovuto affrontare per uccidere la Gorgone.
La Merwe ha molto meno eroicamente, pagato 1700 dollari per abbattere un esemplare ormai anziano, lento nei movimenti e persino malato. Quando si parla della caccia, quando si parla, in generale dei cacciatori, che spesso vengono ancora oggi tollerati (quando non addirittura “apprezzati”) quando si racconta del loro amore per la natura e per gli animali, potremmo farci tornare in mente questo macabro abbraccio e, magari, ricordarsi la storia del gesto di un falso Perseo che ha aperto il borsello per uccidere una Medusa lenta, vecchia e malata. Del tutto innocua. Dal 1985 a oggi le giraffe nel mondo sono diminuite quasi del 50%..
Difendere i rinoceronti
Qualche giorno dopo un’altra fotografia ha riscosso l’interesse del web. Una fotografia che apparentemente assomiglia molto quella della Merwe, ma il senso è opposto. Scattata nel 2019 dal fotoreporter Justin Mott, presso l’Ol Pejeta Conservancy in Kenya centrale, mostra il ranger Zacharia, in compagnia di uno dei rinoceronti (vivo!) che ogni giorno difende dai bracconieri. Zacharia ogni mattina cammina accanto a questi straordinari animali, gli parla, li accudisce e racconta ai visitatori la difficile lotta per la salvarli dall’estinzione.
“Non è l’unico a occuparsene”, ha dichiarato Justin Mott, “ma sotto molti aspetti ne è la voce. Vive in un accampamento a molte ore di distanza dalla sua famiglia: è in servizio per 21 giorni consecutivi seguiti da una pausa di 6 giorni, e passa più tempo con i rinoceronti che con i suoi famigliari.”
Ecco, da una parte la cacciatrice Merelize van der Merwe che scuce soldi per uccidere a tradimento la giraffa nera, dall’altra il ranger Zacharia che passa, gratuitamente, tutto il suo tempo libero a difendere il rinoceronte. Entrambi esseri umani. Alla fine dovrebbe essere abbastanza facile decidere da che parte stare no?!
Segui i soldi
E invece no, perché ancora oggi la caccia grossa non solo è molto più diffusa di quanto si tenda a credere, ma è anche al centro di un giro di affari internazionale con montagne di soldi in gioco. Un giro d’affari talmente ben organizzato che le offerte sono strutturate come quelle delle agenzie di viaggi. Si possono trovare pacchetti scontati per moglie e marito, per padre e figlio, per principianti e anche per i più avventurosi: il temuto “dangerous game”.
Non solo. Si può decidere di uccidere un singolo animale o fare una mattanza, cacciando in 21 giorni, un leone, un bufalo, un elefante e una zebra. Il costo? 78mila dollari. E se la cifra sembra troppo alta, ci si può accontentare di uccidere un bufalo per 2500 euro o addirittura un elefante senza zanne per meno di diecimila. Il prezzo varia a seconda del “trofeo”.
L’agenzia sudafricana African Sky Hunting, una delle più famose nel mondo, offre sul suo sito web, opzioni per tutti i gusti. Dal safari in Sud Africa a quello in Zimbabwe, da quello in Namibia a quello in Mozambico. Il tutto con prezzi “concorrenziali” che variano ovviamente a seconda della rarità dell’animale e della nazione di caccia.
In Sudafrica i ‘trofei’ più cari sono quelli dell’elefante (42mila dollari), del leone (23mila), del leopardo (15mila) e del bufalo (14.500). Cifre aggiornate al 2021. I più ‘economici’ invece sono il cinghiale rosso che si può uccidere con 250 dollari e le antilopi, cui si può sparare con 350 verdoni. Safari International invece ti offre 14 giorni di soggiorno e la possibilità di uccidere un elefante al costo di 29 mila dollari, ha i prezzi più bassi per quanto riguarda gli impala: con 250 dollari ne puoi ammazzare uno al giorno. Non solo, gli uccelli che puoi uccidere mentre cammini alla ricerca di un trofeo, ti costano solo una manciata di spiccioli. Con 6 dollari puoi ammazzare qualsiasi cosa abbia le ali o giù di lì. In un’altra agenzia, più cara, ma forse anche più organizzata, sette giorni di caccia al leone costano 30mila dollari, 10 giorni di caccia all’elefante 35 mila.
Questo in Sud Africa.
In Tanzania in prezzi sono un po’ più alti.
In Namibia più bassi.
Ma la regola base è sempre quella: pagare per ammazzare.
Uccidere i “big five”
A prescindere dai prezzi, il sogno del cacciatore turista resta quello di completare i “Big Five”: leopardo, leone, elefante, bufalo e rinoceronte. E se pensate che ci sia qualcosa d’illegale, vi sbagliate. Al contrario sono gli stessi paesi africani a mettere gli animali in vendita.
Lo scopo, in teoria, sarebbe quello di sacrificare gli animali più anziani, più deboli o ritenuti in sovrannumero per raccogliere soldi da destinare alla difesa della stessa fauna. Idea, quanto meno, discutibile: incentivare la caccia per salvare gli animali. Suona bizzarro, vero? E in tutto questo si è sviluppata anche una presunta etica del cacciatore: non uccidere esemplari femmine e giovani maschi con meno di 7 anni, scegliere sempre per primi animali molto anziani o malati.
Chi la rispetta?
Nessuno.
Basta infatti fare una rapida ricerca su Google per trovare fotografie di cacciatori in posa con, ai piedi, i corpi di giovani leoni, di elefantesse e persino di piccole scimmie, spesso vendute a 50 euro l’una.
I cacciatori ovviamente non lesinano fotografie agli animali uccisi e immancabilmente si lasciano immortalare accanto al cadavere, mostrando al fotografo il loro miglior sorriso.
Lo scatto, sembra essere il vero scopo della caccia.
Del tutto estranei all’ipotesi che una fotografia con un animale morto abbia una componente talmente macabra da suscitare disgusto in qualsiasi persona con un minimo di sensibilità, i cacciatori sembrano non poter fare a meno di quest’ ultima fase. È il “coronamento” di tanta “fatica”. Ogni agenzia di caccia presenta orgogliosa una gallery. Per qualsiasi persona sana di mente è una galleria degli orrori.
Trophy: il terribile paradosso
Per meglio comprendere di cosa stiamo parlando, quando si discute di “rapida estinzione”, ecco alcuni numeri: attualmente, in Africa, dal 1994 a oggi, i leoni sono diminuiti del 43%. Con una media di 30 mila elefanti uccisi ogni anno (circa 300 mila elefanti uccisi dal 2007 a oggi, questi animali sono diventatati rari in quasi tutto il continente.
Il 90% dei rinoceronti è stato ucciso. Sono ormai estinti in sette Paesi africani. E non scompaiono solo i “big five”. Di licaoni, ad esempio, ne restano solo 6000 in tutto il continente. Purtroppo c’è un paradosso ben spiegato, tra l’altro proprio dal documentario Trophy. Un terribile paradosso che per un occidentale che non conosce l’Africa, non sempre è facile da comprendere.
Attualmente i numeri però non lasciano adito a molti dubbi. La caccia grossa, organizzata legalmente dai tour operator, riduce il bracconaggio. Ciò accade principalmente perché molti locali si mettono al servizio dei cacciatori riuscendo a guadagnare qualche dollaro ed evitando così di diventare bracconieri per necessità. Non solo: il contenimento del numero di animali riduce l’astio che, inevitabilmente, i contadini del luogo finiscono per provare nei confronti di elefanti, leoni, leopardi e erbivori vari. Animali che, è facile intuirlo, in un Paese africano, costituiscono purtroppo una minaccia non facilmente arginabile per i raccolti, per gli allevamenti e, nel caso dei grandi carnivori, anche per la vita.
È chiaro che questo paradosso è principalmente generato dalla povertà che l’opulento Occidente e la rampante Cina continuano a imporre all’Africa intera. Si finisce così per generare una sorta di cane che si morde la coda. Il continente africano viene impoverito non solo dal punto di vista economico, ma anche dal punto vista faunistico e i ricchi cacciatori occidentali possono presentarsi come una possibile soluzione alle difficoltà degli abitanti.
Come se ne esce? Per ora male. C’è chi, in Sud Africa, ha persino creato un allevamento d rinoceronti con lo scopo di salvare questi animali vendono i corni che possono essere asportati senza uccidere l’animale, ma fino a quando sarà la fame a guidare le azioni di così tante persone in Africa, tutta la fauna sarà a rischio.
Una riflessione: in ogni caso gli animali finiscono sempre per collocarsi molto al di sotto dell’essere umano e anche quando mettiamo in atto strategie per salvarli dalla nostra furia, evidentemente non prendiamo mai in considerazione l’idea di smettere di dominarli.
Azzerare il dominio sarebbe il punto.
Francesco Cortonesi
Progetto Vivere Vegan