Abbiamo intervistato David Zanforlini, l’avvocato che ha fatto chiudere l’allevamento-lager GreenHill di beagle destinati alla vivisezione e che ha preso in mano il destino dei sei macachi del progetto Light-Up.
David Zanforlini, classe 1959, iscritto al Foro di Ferrara, è conosciuto come l’avvocato dalla parte degli Animali. Sua è stata l’azione legale che ha portato alla fine di una lunga vicenda di sofferenza per cani di razza beagle allevati per essere venduti ai laboratori di vivisezione. Grazie al suo lavoro e alla sua denuncia, infatti, l’allevamento di GreenHill a Montichiari nel bresciano ha chiuso i battenti per le condizioni di vero e proprio maltrattamento in cui versavano i cani ospitati. Tutti noi abbiamo in mente l’immagine del cucciolo di beagle portato al di là della rete dell’allevamento da mille mani di volontari animalisti in festa.
Adesso l’avvocato ci riprova e questa volta cerca di togliere dagli stabulari dell’Università di Parma i sei macachi destinati all’accecamento nell’ambito del Progetto Light-Up.
Lo abbiamo quindi contattato e gli abbiamo fatto qualche domanda su questa importante azione.
Avvocato Zanforlini, in cosa consiste l’azione legale che lei ha intrapreso nei confronti degli stabulari dell’Università di Parma dove sono detenuti i sei macachi destinati al Progetto Light-Up?
Ad oggi posso dirle che la Procura di Parma ha ritenuto di dover iscrivere tre persone in registro secondo l’articolo 544/ter del codice penale, l’articolo sul maltrattamento degli animali. La Procura sta dunque procedendo con le indagini per stabilire se è avvenuto maltrattamento durante la detenzione dei macachi in tali stabulari. A fine Maggio 2020 ho presentato denuncia a suddetta Procura e devo dire che il tempo intercorso all’avvio delle indagini e all’iscrizione, quindi all’individuazione di tre persone precise da mettere sotto inchiesta, non è stato particolarmente lungo, visti i tempi giudiziari del nostro paese. Mi auguro che le indagini potranno terminare già in estate. Secondo l’articolo 415/bis del codice penale, al termine delle indagini ci sarà o l’accertamento definitivo delle responsabilità o la richiesta di archiviazione del caso. Poiché questa richiesta non è stata fatta ciò vuol dire che c’è motivo per continuare a indagare.
Possiamo dunque augurarci che l’Università di Parma sospenda la sperimentazione, almeno per il momento?
Da un punto di vista formale purtroppo l’Università di Parma non è obbligata a questa sospensione poiché il Consiglio di Stato ha approvato la ricerca, come sappiamo. Il fatto è che vista l’indagine in corso sarebbe inopportuno per l’Università di Parma dare il via alla sperimentazione proprio perché c’è un procedimento che riguarda alcuni suoi dipendenti. Il dare via libera alla sperimentazione potrebbe essere interpretato come uno sgarbo a un’Istituzione Giudiziaria, la Procura appunto. In pratica può farlo ma non gli conviene troppo.
Cosa possiamo fare noi Associazioni del settore animalista per aiutarla nella sua battaglia legale?
Le associazioni animaliste possono fare due cose: o fare pressione sulla Procura ma non sarebbe una scelta logica date le 1000 pagine di indagine che dimostrano che si stanno muovendo e nemmeno troppo lentamente, oppure mostrare tutte unite che in Italia c’è contrarietà alla sperimentazione animale, affinchè le Istituzioni non ci possano più ignorare. Se le Associazioni del mondo animalista restano unite e non frammentate, continuando a chiedere che si trovi una soluzione alternativa alla sperimentazione animale, le Istituzioni non potranno evitare il problema e dovranno impegnarsi a trovare una tale soluzione. Sulle battaglie per i diritti l’Italia è in realtà stata sempre all’avanguardia, se consideriamo che in Svizzera il voto alle donne è stato concesso nel 1970, venti anni dopo il nostro paese. Per questo motivo dobbiamo continuare a lottare uniti chiedendo di estendere il diritto agli animali non umani sempre di più.
Francesca Decandia
Progetto Vivere Vegan